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di Raffaella Chiodo Karpinsky

Avvenire, 26 ottobre 2024

Sette anni di prigione per aver recitato poesie e criticato la guerra in Ucraina. Secondo organizzazioni russe un migliaio di persone sono state processate e incarcerate per aver espresso dissenso. Professori e maestre d’asilo, negozianti e pensionate: è il mondo dei reclusi sconosciuti che pagano la ribellione alla violenza. La repressione in Russia è tutt’altro che finita. Dopo lo storico scambio di prigionieri si è diffusa una sorta di illusione, come se tutti i prigionieri politici ancora detenuti fossero stati liberati. Eppure secondo le organizzazioni russe per i diritti umani che seguono la situazione nel Paese sono tra 800 e 1200 le persone che per aver espresso il dissenso hanno subito un processo e sono detenuti. Spesso in colonie penali lontane migliaia di chilometri dai propri di cari e dai loro legali. Una condizione che rende difficile poterli visitare e garantire il supporto legale. I costi per il viaggio sono spesso insostenibili. L’aiuto arriva dalle catene di solidarietà che via via si sono create all’interno del Paese nonostante la paura e la dura repressione. Fanno miracoli per i prigionieri e le loro famiglie. Raccolgono fondi per le multe di chi ha avuto la fortuna di essere vessato solo con misure economiche oppure per sostenere le spese per garantire una difesa di chi non è in grado di farlo.

Tra i prigionieri molti giovani e giovanissimi, ragazze, che pur consapevoli delle conseguenze non sono riusciti a trattenere un gesto di disobbedienza, di coscienza contro la guerra. Giovani come Artem Kamardin, Yegor Shtovb, condannati a 7 e 5,5 anni di carcere per avere recitato in pubblico poesie di Majakovskij e dello stesso Kamardin, o Daria Kozyreva per avere scritto frasi contro la guerra su un’installazione che celebra il gemellaggio tra San Pietroburgo e Marjupol. Un gesto che la ragazza non ha saputo trattenere pensando al fatto che la città ucraina è ormai tristemente nota per il fatto di essere stata rasa al suolo e dove nel suo Teatro colpito dai missili 400 persone tra donne, bambini e anziani che avevano cercato là rifugio sono morte. Insieme a Daria e gli altri ragazzi, ci sono casi come quello di Andrej Shabanov, sassofonista jazz, in carcere per aver fatto un post contro la guerra. Andrej soffre di patologie difficili da reggere senza le cure necessarie; Olga Menshikh, infermiera anestesista che per due post sul social russo Vkontakte sulle stragi di civili avvenute a Vinniza e Bucha è stata condannata a 8 anni di carcere; Ibrahim Orudzhev che per avere fotografato l’orario di un distretto militare mentre passeggiava con la madre ora rischia l’ergastolo con l’accusa di sostegno al terrorismo; Daniil Ljuka insegnate di disegno che per avere scarabocchiato dei baffi, barba e un cilindro intorno a un testo propagandistico su un giornaletto di quartiere è stato prima licenziato e poi condannato a 20 anni con l’accusa di sostegno al terrorismo. L’accusa si basa su un versamento di denaro che Daniil ha fatto al fratello che vive nel Donetsk e che secondo l’accusa era in realtà destinato all’Azov.

Il sistema della delazione è certamente una delle più impietose forme di oppressione che colpisce chiunque tenti di rendere pubblico il proprio dissenso sulla guerra, perciò i difensori dei prigionieri politici denunciano come vengano spesso costruite ad arte prove di colpevolezza. Tra le più esilaranti c’è stata la testimonianza che venne portata al processo a Oleg Orlov, difensore dei diritti umani e coportavoce di Memorial, premio Nobel per la Pace poi liberato in occasione dello scambio di prigionieri. In quella occasione due veterani della seconda guerra mondiale testimoniarono contro di lui riconoscendolo corresponsabile dello scioglimento dell’Unione Sovietica. Oggi è sufficiente che si scriva la parola guerra su un cartello, o in un post, per essere accusati di sostegno al terrorismo, tradimento della patria, discredito delle forze armate e via dicendo. Accuse che portano a condanne tra i 5 e 25 anni di reclusione.

Alcuni detenuti versano in condizioni di salute gravi. È il caso Alexey Gorinov, Consigliere municipale di Mosca per il quale media indipendenti, reti di appoggio ai prigionieri politici e partiti dell’opposizione hanno lanciato una mobilitazione ad hoc. Ma il numero dei prigionieri perseguiti per il dissenso verso quella che il regime continua a chiamare “operazione speciale” è molto più alto di quello conosciuto. Sono tanti coloro di cui non si sa che sono stati arrestati. Sono semplicemente spariti. Le proteste contro la guerra si sono verificate anche in città e villaggi remoti, in Siberia.

Il caso del pianista Pavel Kushmir è l’emblema di una infinita solitudine e abbandono in cui si trova chi come lui ha agito, semplicemente parlando contro la guerra. Pavel totalmente solo nel suo dissenso morale ha scelto lo sciopero della fame nella speranza qualcuno si accorgesse della sua protesta, affinché il suo grido non rimanesse soffocato nell’isolamento acustico e disumano delle quattro mura della sua cella. In diversi, tra politici, attivisti e giornalisti quando hanno saputo della sua morte e così del suo caso, hanno sottolineato che Pavel si è trovato in un completo stato di abbandono, non aveva mai ricevuto una lettera perché nessuno sapeva di lui.

Nessuno può sapere quanti Pavel ci sono in questo momento e quale sia la disperazione nel buco nero in cui sono sprofondati. Tanti i semplici cittadini che tutto pensavano meno che diventare eroi. C’è l’insegnante di scuola primaria o secondaria, il professore di letteratura russa o di disegno, la maestra d’asilo, la pediatra, il docente di fisica, il negoziante, la pensionata che si trovano di colpo, per le proprie idee con una vita distrutta. Per questo nel corso dei mesi di account in account è cresciuta l’onda della mobilitazione per rilanciare l’appello a scrivere ai prigionieri politici. Si tratta di una forma semplice e fortissima di solidarietà che aiuta a resistere e al carcere e all’isolamento.

Ha sottolineato quanto questo sia importante la giornalista Maria Ponomarenko dietro le sbarre da oltre due anni in una lettera a Nadezhda, madre di Alexandra Skochilenko (la giovane artista incarcerata per 2 anni e mezzo poi liberata con lo scambio dei prigionieri). Ha chiesto a lei di farsi da tramite e ringraziare coloro che le scrivono perché per lei è davvero ciò che le dà la forza di resistere. Hanno ribadito questo concetto anche Vladimir Kara Murza, Ilya Yashin e Andrej Pivovarov i prigionieri politici più noti e il giornalista rilasciati in occasione dello scambio di prigionieri lo scorso agosto in occasione della loro prima conferenza stampa e poi negli incontri pubblici e istituzionali come le visite ufficiali di Kara Murza in diversi Paesi europei tra cui la Finlandia e la Francia dove è stato ricevuto dai rispettivi presidenti della Repubblica e dai Parlamenti.

La storia di Pavel, il suo desiderio di pace chiuso e sepolto di cui abbiamo saputo solo dopo, troppo tardi, è un peso terribile che dovrebbe fare riflettere e aiutare a capire che ognuno può fare qualcosa di importante. Non è vero che siamo disarmati. Abbiamo la possibilità di usare le risorse di umanità e responsabilità. Perciò è importante rilanciare l’appello e invitare tutte le persone sensibili a scrivere a questi prigionieri, a prenderci cura di loro. Meglio ancora come suggeriscono le organizzazioni di solidarietà che se ne occupano, individuando quelli meno conosciuti e per questo più fragili e indifesi. È una cosa semplice e consentita via posta ordinaria o via email. Quest’ultima attraverso un servizio che funziona dall’estero grazie a una catena di solidarietà che permette di aggirare le sanzioni e pagare l’invio e la consegna delle lettere ai detenuti. Si posso inviare lettere o cartoline che sono molto gradite perché portano in cella anche un’immagine del mondo di fuori. Per scrivere è necessario rispettare alcuni criteri (ad esempio evitare l’uso del termine guerra.). Inoltre è d’obbligo scrivere in russo. Perciò anche in Italia ci sono associazioni e gruppi che organizzano incontri per supportare la scrittura e traduzione delle lettere.

Gli account dei promotori di queste iniziative sono molteplici e alcuni anche in lingua inglese e italiana. Per chi fosse interessato è possibile conoscere l’elenco dei prigionieri politici riconosciuti tali dall’organizzazione Memorial (Premio Nobel per la Pace 2022) accedendo al suo sito https://memopzk.org/persecuted/. Oppure il sito di “OVDinfo” https://en.ovdinfo.org/reports che ha una versione in inglese e dove si può trovare la lista di tutte le persone arrestate dall’inizio della guerra con brevi descrizioni dei casi, i dati anagrafici necessari e l’indirizzo dove inviare le lettere. Oppure si può entrare in contatto per informazioni e aggiornamenti seguendo alcuni di degli account Instagram e Telegram come ad esempio quelli di: OVD info https://www.instagram.com/ovdinfo_en/ e https://www.instagram.com/lettersoffreedom_russia.