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di Domenico Quirico

La Stampa, 29 agosto 2023

Per dar corpo all’iniziativa bisognerebbe attribuire a Putin il ruolo di controparte. Un fantasma, l’ennesimo, si aggira per l’Europa: la soluzione diplomatica. Come purtroppo accade per i fantasmi tutti sostengono di averli visti, li descrivono perfino nella incorporea materialità, li invitano a farsi sostanza e voce per poter dialogare con loro, evocare, ricevere vaticini e suggerimenti, esplorare il futuro, cambiare il fato. Godono la vertigine di una stupefacente esistenza. Poi, nel momento in cui la luce della realtà fa svanire l’ombra dei sogni, tutto si conferma per ciò che era: nulla.

I fantasmi d’Ucraina si declinano sotto molte specie: la sospirata “iniziativa diplomatica” in cui incliti e colti, generali e pacifisti, progressisti, populisti e perfino i nicodemiti del putinismo scorgono il principio del lieto fine. Proprio perché non vuol dir nulla, non impegna a niente. Poi c’è l’invocazione “è ora di dar spazio alla diplomazia”, una specie di “ita missa est” che incuba con loquela furba e tortuosa ogni comizio, intervista e senatoconsulto. E da rinviare cronologicamente a calende greche. Si aggiunga all’elenco l’obbligatorio “una diplomazia che “naturalmente” porti a una pace giusta”. Bello, ma quale? E c’è chi, volpe machiavellica di buona pelliccia, suggerisce senza batter ciglio di “affiancare la guerra e la diplomazia”.

I fantasmi purtroppo son rimasti finora fantasmi. Per dar corpo alla iniziativa diplomatica occorrerebbero furberie, cavilli, tattiche anche impudenti, e soprattutto tanto coraggio politico. Per fare un esempio: poiché la diplomazia non è teratologia, ovvero la scienza dei mostri, si dovrebbe attribuire al mostro Putin, internazionalmente ricercato per furto di bambini, la qualifica di controparte. Altrimenti, in attesa della reincarnazione di Prigozhin o della mano dell’Onnipotente, senza questa opportunistica riabilitazione con chi la si esercita, la diplomazia? Anatema, tradimento, condanna, punizione!

La resa incondizionata non ha bisogno di nessuna diplomazia. Si dettano ordini. Il vinto obbedisce. Non ha scelta. Anche gli orbi vedono dove si miri. Se questo è lo scopo si lascino i fantasmi diplomatici nel loro inutile limbo. Ma siamo in grado di imporre alla Russia la resa senza condizioni? E come? E la vittoria totale non rischia di diventare un incubo? La soluzione si aggroviglia.

Intanto la guerra accumula il suo arsenale di orribili fatti. I soliti: morti bombardamenti avanzate minuscole e ritirate minuscole, ci si consola con la conquista di un villaggio “fondamentale perché si vedono le posizioni russe dall’alto”, come se fossimo ai tempi di Borodino. Intanto la guerra cresce con i suoi lieviti cattivi, non perde tempo in cineserie verbali, punta al pratico. Prendiamo questa notizia come circola. Gli alti comandi ucraini nella persona del capo di stato maggiore Valeriy Zaluzhnyi con tutti suoi generali sono stati convocati al confine polacco dagli alti comandi della Nato. Si è scomodato per trasmettere loro ordini il pensatoio dell’Alleanza con il capo di stato maggiore Christopher Cavoli e il capo dell’esercito britannico. Attenzione alla forma, è fondamentale. Non il solito incontro per discutere quanti missili e quante munizioni mancano, eternamente, agli ucraini per vincere. È stata la convocazione di un esercito vassallo per dare ordini, in particolare, pare, l’ingiunzione a cambiare radicalmente la strategia, non più perder tempo a Est ma provare a colpire a Sud per spaccare in due le linee, peraltro assi munite, dei russi. La risposta degli scolaretti ucraini di alto grado è stata ovviamente: Geniale! Obbedisco.

Che sia una buona idea tattica si vedrà. Quello che è verificabile subito è che la non belligeranza, peraltro assai ipocrita e puntellata su acrobazie definitorie con cui si copriva la attività della coalizione occidentale, è caduta. La guerra è nuda. Si può bere la favola che fornire armi all’aggredito non significhi essere in guerra con la Russia. Anche la fornitura di informazioni fondamentali agli ucraini usando lo sbalorditivo apparato di satelliti e droni sui movimenti russi, la dislocazione delle truppe, i depositi di Putin, può esser difeso da plauditori e servidorame della guerra a tutti i costi come legittimo. In fondo le spie, che siano elettroniche, spaziali o antropomorfe, sono al di là dell’etica e del diritto. Fanno il loro mestiere.

Ma se l’esercito ucraino prende ordini dai comandi occidentali su come operare sul campo allora cade il tabù: da tredici giorni siamo in guerra con la Russia. E non ce ne siamo accorti. Che Kiev faccia parte formalmente dell’Alleanza diventa cosa giuridicamente irrilevante. E sull’argomento non può calare l’oblio.

Forse di fronte alla evidente paralisi della guerra americani e caudatari hanno dovuto rendere chiaro ciò che hanno sempre negato: fanno la guerra ai russi usando i poveri ucraini come fanterie molto eroiche; e, sogno di tutti i generali da Agamennone in poi, sacrificabili senza troppi problemi interni o rimorsi. Le eccellenze della Nato hanno, al confine polacco, impartito ordini alle “truppe coloniali” ucraine che hanno umilmente ubbidito. L’ordigno ipocrita vale tanto quanto viene comodo. Poi capitola.

Di quanto è accaduto così silenziosamente si è accorto Zelensky. Che per la prima volta, dopo i mesi in cui fustigava in forme egomaniache i suggerimenti diplomatici come subdolo tradimento delle vittime e resa al prepotente di Mosca, ha ammesso che la trattativa sarebbe meglio della soluzione militare, e che sulla Crimea chissà... Zelensky dal febbraio del 2022 è consapevole che il suo Paese dipende totalmente dall’aiuto occidentale per esistere e che non è la compassione a muovere alcuni dei suoi alleati, semmai l’idea di ottenere la seconda disintegrazione della Russia, usandolo come un mujahedin europeo contro i sovietici nel Novecento.

In questo anno e mezzo di guerra ha tentato di rovesciare questo rapporto di dipendenza assoluta per imporre agli occidentali la sua strategia e i suoi programmi. In parte ci è riuscito, i donatori sono stati accuratamente avviluppati nelle loro sconsiderate promesse, nei loro sensi di colpa per le non troppo antiche amicizie con l’orco russo, nella “Ucraina baluardo occidentale”, fino all’assioma: sarà l’Ucraina a decidere quale pace vorrà. Bisogna scappellarsi di fronte a questo acrobatico gioco. Ma la guerra non si fa ingannare. Pendono equazioni insolubili. Che sono la guerra di usura, le trincee che diventano eterne, i miliardi che scivolano via. Gli americani hanno ricordato agli ucraini in modo anche formalmente sgarbato la realtà: noi vi teniamo in vita, noi comandiamo. Voi fate la guerra come la decidiamo noi.