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di Gaetano de Stefano

La Città di Salerno, 20 settembre 2023

La direttrice dal 22 settembre ad Avellino: “Il momento più difficile? Il Covid”. Ripercorre i suoi quattro anni alla guida della Casa circondariale di Salerno, parlando di tutto, anche delle rivolte e della criticità della struttura. Perché la direttrice dell’istituto penitenziario di via del Tonnazzo, Rita Romano - che dal prossimo 22 settembre sarà destinata a dirigere il carcere irpino “Antimo Graziano” - non si nasconde dietro un dito. Ieri con molte probabilità il suo ultimo incontro pubblico in occasione dell’arrivo a Fuorni della reliquia del braccio di San Matteo. E così ripercorre la sua esperienza in un istituto che ha cercato di governare nel migliore dei modi, nonostante le carenze d’organico e il sovraffollamento dei detenuti. “Ringrazio - esordisce - tutti i collaboratori leali. E anche chi non lo è stato”.

Qual è lo stato di salute del carcere di Salerno?

Sicuramente non è al top ma chi prenderà il mio posto non dovrà ricominciare da zero ma, mutuando il titolo di un celebre film di Massimo Troisi, da tre. Questo vuol dire che lascio una struttura che è migliorata da quando ho assunto la direzione, sia dal punto di vista strutturale che di tutte le attività. Sicuramente restano insoluti i problemi della carenza del personale e del sovraffollamento che, in realtà, sono mali comuni che riguardano un po’ tutti gli istituti campani e italiani. In definitiva, però, credo che non si possa lamentare nessuno, né il personale e neppure i detenuti. A quest’ultimi è stata data la possibilità di usufruire di un’ampissima scelta d’offerta trattamentale. Non a caso proprio oggi (ieri per chi legge ndr) si conclude il progetto “Vediamoci chiaro” in collaborazione con i Lions di Salerno che hanno eseguito delle visite oculistiche e regaleranno ai detenuti indigenti gli occhiali da vista.

Il penitenziario cittadino è balzato spesso agli onori della cronaca per il rinvenimento di smartphone e sostanze stupefacenti. E la stessa Procura ha definito il carcere una piazza di spaccio. Com’è possibile?

Anche in questo caso si tratta di una condizione comune a tutti gli istituti di pena italiani. Nel caso di Salerno la preponderanza numerica dei detenuti e la carenza di personale sono elementi che ovviamente incidono su questo fenomeno. A questo vanno aggiunti gli intessi in gioco, che sono alti tant’è che sono stati accertati dalla stessa Procura.

Vi siete fatti un’idea di come possano entrare cellulari e droga nelle celle?

Attraverso i pacchi destinati ai detenuti, nonostante la nostra dotazione preveda una strumentazione per il controllo abbastanza sofisticata. E, poi, con i droni.

Cosa servirebbe per elevare ulteriormente gli standard di sicurezza?

Esclusivamente che ci fosse tutto il personale previsto in organico. Nient’altro. In questi quattro anni che sono stata a Salerno, a parte la parentesi del Covid che ha bloccato tutte le attività, ho potuto contare su un’ottima squadra. Senza il contributo e il supporto del personale, tenuto conto delle tante criticità, non saremmo riusciti a portare a termine diversi progetti.

Può confidarci il momento più difficile?

Sicuramente il periodo del Covid, al di là della rivolta del 7 marzo del 2020, per tutto quello che è scaturito dalla pandemia, a partire dalla gestione dell’emergenza sanitaria fino ad arrivare alla creazione di percorsi ad hoc per evitare i contagi. E anche in questo caso siano stati virtuosi, tant’è che nella prima fase della pandemia abbiamo registrato al massimo due contagi, facendo della resilienza il nostro motto, tant’è che l’istituto salernitano è diventato sito di produzione delle mascherine.

Riavvolgiamo il nastro e torniamo alla rivolta del 7 marzo: com’è riuscita a calmare gli animi?

La prima volta che ho dovuto affrontare un evento critico è stato appena arrivata, il 5 aprile 2019. È stato il mio battesimo del fuoco: mi sono frapposta tra i due gruppi di detenuti - uno formato da napoletani, l’altro da salernitani, che erano pronti a scontrarsi - che non hanno concretizzato i loro intenti bellicosi proprio per la mia presenza. Mi ricordo che qualcuno ha urlato “Se continuiamo facciamo male la direttrice”. In quell’occasione ho riportato una slogatura al polso. Per quanto riguarda la rivolta del 7 marzo, ringrazio adesso pubblicamente il prefetto e le altre forze dell’ordine per il loro tempestivo intervento che probabilmente è stato risolutivo ed è servito a far desistere i detenuti che erano riusciti a salire sui tetti.

Lei ha ricordato la rivalità tra detenuti napoletani e salernitani. C’è ancora?

In questo periodo sembra che si siano calmati gli animi. Evidentemente sono stati trovati degli equilibri interni.

Se potesse tornare indietro, rifarebbe tutto?

Per mio carattere rifarei tutto, anche gli stessi errori, visto che sono caparbia. Probabilmente metterei meno cuore nella gestione.

Dalla nuova sfida professionale cosa s’aspetta?

Spero di non deludere chi ha puntato su di me e il personale del carcere di Avellino, che già mi sta inviando segnali positivi.

Quale consiglio dà alla nuova direttrice del carcere di Fuorni?

Nessuno. Per mia natura non mi piace darli, perché non amo riceverli. Come dico spesso voglio sbagliare ma da sola.