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di Carmen Autuori


La Città di Salerno, 21 settembre 2019

 

Il presidente del tribunale di Sorveglianza: "Magistrati, alto il rischio di diventare farisei". "Il perdono di Dio non è mai proporzionale al peso dei peccati, bensì alla capacità di mantenere un cuore vivo". Così monsignor Andrea Bellandi, Arcivescovo della Diocesi di Salerno - Campagna - Acerno, ha salutato i detenuti reclusi nella Casa Circondariale di Fuorni in occasione della ormai consueta visita con la sacra reliquia del braccio di San Matteo, nei giorni che precedono la festa patronale del 21 settembre.

Grande commozione hanno destato le parole dell'Arcivescovo che, prendendo spunto dal Vangelo di Luca precisamente dal brano del fariseo e della donna adultera, ha invitato i presenti a "non chiudere il cuore in una cella, così come il fariseo che ha un cuore arido perché, a differenza della donna, non è capace di amare". "Dobbiamo avere il coraggio di amare - ha proseguito monsignor Bellandi sulla falsariga dell'ultimo messaggio di Papa Francesco ai detenuti- perché coraggio e speranza sono intimamente connessi".

Ad attenderlo, nella cappella gremita il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Monica Amirante, il direttore del carcere Rita Romano con i dirigenti amministrativi, il comandante della polizia penitenziaria Gianluigi Lancellotta e 120 ospiti della casa circondariale in rappresentanza di tutte le sezioni del carcere, comprese quelle di massima sicurezza. "Ed è quest'ultima presenza la novità rispetto agli anni precedenti" ha spiegato don Rosario Petrone, cappellano del carcere di Fuorni.

E rifacendosi alle parole di Bellandi il presidente Amirante ha dichiarato: "L'aridità del cuore può essere traslata nella rigidità burocratica. Per noi magistrati è alto il rischio di diventare come il fariseo se non teniamo conto dei diritti di chi è privato della libertà. I diritti che afferiscono alla dignità della persona vanno ampliati, soprattutto qui, in carcere".

La reliquia, portata dall'Arcivescovo Bellandi, è stata accolta da un grande applauso e dalle braccia tese attraverso le inferriate dei detenuti nella sezione "protetti" che hanno avuto così l'impressione di ricevere, anche se solo per un attimo, la carezza del Santo. "Qui, privati degli affetti, è difficile credere in Dio. Ci affidiamo a San Matteo che possa alimentare in noi la speranza" ha dichiara Antonio, uno dei detenuti.

"Nel 1996 con monsignor Gerardo Pierro, allora Arcivescovo di Salerno, abbiamo dato inizio a questa tradizione dalla grande valenza simbolica perché rappresenta l'esserci. - ha sottolineato Rita Romano, direttore della struttura penitenziaria - In genere gli istituti penitenziari sono ubicati nelle periferie perché devono essere una realtà dimenticata e da dimenticare.

Con l'ingresso delle reliquie si è voluto ristabilire il legame con la città che in questi giorni è in festa per il suo patrono. Proprio in quest'occasione, dunque, la città non può e non deve dimenticare quelli che sono gli ultimi". La stessa Romano ha aggiunto che "il sentimento religioso è molto presente tra i detenuti e queste occasioni, oltre a vedere la presenza delle istituzioni civili e religiose, aprono il carcere all'esterno, servono a far sentire a chi è privato della libertà che esiste un fuori che non li ha dimenticati".