di Antonio Maria Mira
Avvenire, 7 agosto 2024
Da 15 giorni alcuni uomini del penitenziario campano lavorano in un’azienda agricola di Buccino. L’amministratore delegato: “C’è spazio per un’economia eticamente sostenibile”. Detenuti e immigrati insieme al lavoro in una grande azienda agroalimentare. Da quindici giorni quattro detenuti escono dal carcere di Eboli e raggiungono la Icab La Fiammante di Buccino, 350 dipendenti, tra i quali 50 immigrati, tutti con regolare contratto. Da due anni anche 9 assunti grazie al progetto di filiera etica NoCap ideato da Ivan Sagnet, attivista camerunense, nominato cavaliere della Repubblica dal presidente Sergio Mattarella per il suo impegno in difesa dei diritti dei lavoratori.
Un progetto frutto di una bella squadra con due diocesi, quella di Teggiano-Policastro, attraverso le iniziative Presidio e Sipla della Caritas, e quella di Salerno, con la Fondazione Migrantes, assieme all’associazione Frontiera Sud. Con la convinta adesione dell’azienda che ogni anno trasforma un milione di quintali di ortaggi, soprattutto pomodori, per produrre 60 milioni di “pezzi’,’ con un fatturato che supera i 50 milioni di euro. “Ogni anno siamo in crescita a doppia cifra. C’è dunque spazio per un’economia eticamente sostenibile, non è che uno per crescere deve per forza delinquere”, dice l’amministratore delegato Francesco Franzese.
Due anni fa, nel pieno del boom degli aumenti dei costi energetici, fece notizia la sua dichiarazione: “Non risparmieremo sui lavoratori, continueremo ad assumere immigrati. Per noi i lavoratori sono una risorsa da rispettare “. E non ha cambiato idea. “Abbiamo avuto problemi ma li abbiamo superati. Lo sfruttamento dei lavoratori riduce il costo di 10 centesimi a pezzo, così per risparmiare pochi centesimi si creano disastri”.
E quest’anno il nuovo progetto coi detenuti. “Cerchiamo di aiutare questi ragazzi nel loro percorso. Li ho incontrati, ho ascoltato le loro storie, alcune molto dure. Persone nate in contesti sociali dove era difficile non delinquere, famiglie fragili”. I detenuti hanno tra i 30 e i 50 anni, uno di loro sapeva guidare il muletto ma non aveva il patentino così gli è stato fatto fare il corso e ora potrebbe andare a lavorare anche in altre aziende, è una qualifica molto richiesta che si spende bene sul mercato.
“Con queste scelte - sottolinea Franzese - noi vogliamo ribadire come il mondo della solidarietà e quello del lavoro possono e debbono trovare un terreno comune di azione per affrontare le emergenze di questi anni, come il problema delle carceri. Restituire valore al lavoro è centrale per immaginare soluzioni realistiche ai drammi della marginalità e del disagio sociale, vissuti ogni giorno da tanti cittadini italiani così come dai migranti”.
Le sue sono parole attualissime. “Ci siamo abituati ai discorsi di chi innalza steccati, scovando di volta in volta un nuovo nemico da additare come responsabile di questo o quel malessere, invece noi da anni ci impegniamo a fare rete, convinti che le soluzioni siano reali solo quando i problemi sono condivisi, lavorando per costruire ponti a partire dal concetto di filiera, di relazioni autentiche, di valori condivisi”.
Il progetto è stato possibile grazie alle “Legge Smuraglia” del 2000 che agevola l’assunzione di detenuti da parte di aziende e cooperative. E si inserisce, come sottolinea la direttrice del carcere Concetta Felaco, “in un lavoro di squadra dell’Istituto, ed è il frutto di un intenso lavoro nell’obiettivo di favorire opportunità di inserimento sociale, soprattutto lavorativo dei detenuti”.
E Franzese si rivolge ai colleghi imprenditori. “Molti cercano manodopera. Quale occasione migliore di crearla attraverso gli istituti penitenziari? Il nostro potrebbe essere un modello che ogni azienda potrebbe attuare. Se ogni azienda ne prende quattro, svuotiamo il carcere di Eboli ogni mattina. Ed evitiamo che dopo aver scontato la pena tornino a delinquere. Se me ne mandano altri quattro io li prendo. Se loro quattro dopo aver scontato la pena tornano da me da uomini liberi, per loro la porta è aperta”.










