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di Morena Pinto

triesteallnews.it, 23 dicembre 2023

Qual è lo stato di salute prevalente nelle carceri italiane? La salute mentale di detenute e detenuti è una tra le questioni centrali per Antigone, associazione impegnata sul territorio italiano per la tutela dei diritti delle persone recluse negli istituti penitenziari. Ed è proprio da qui che parte l’incontro “La prigione come luogo di cura? La salute mentale nelle carceri italiane” organizzato da ConF. Basaglia per “Cambiare dentro/Costruire fuori”: progetto nato nella Casa Circondariale di Trieste rivolto anche alla cittadinanza per un confronto critico e collettivo sull’istituzione carcere.

Valeria Verdolini e Luca Stecherle, introdotti al Circolo della Stampa da Giovanna Del Giudice, Presidente di ConF.Basaglia, sono invitati a riflettere sul legame tra chiusura degli OPG, salute mentale e lo stato attuale delle carceri italiane. La chiusura degli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari), per legge nel 2014 e nei fatti dal 2017 con il passaggio alle Residenze per l’Esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), è, infatti, spesso correlata, nel discorso comune, agli aumenti dei detenuti nelle carceri, aspetti trattati come due vasi comunicanti.

“Bisogna considerare che il sovraffollamento delle carceri ha accompagnato, da sempre, la storia del penitenziario italiano”, afferma Verdolini, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e Presidente di Antigone Lombardia. Dagli anni Novanta (35-40 mila detenuti) - continua Verdolin - le carceri hanno visto crescite progressive dei detenuti, calmierate spesso con una gestione politica basata sugli indulti. Nel 2010 - aggiunge - è stato raggiunto il dato più alto nella storia di detenuti con 67mila persone recluse.

A seguire, un continuo saliscendi ha caratterizzato i numeri in carcere: un primo calo dei detenuti nel periodo riformista dopo le sentenze Torreggiani (2013-15), una risalita nel biennio successivo e l’ultimo calo a seguito della pandemia e delle rivolte penitenziarie sotto il governo Conte. Nel dicembre 2023, tuttavia, il sovraffollamento resta uno dei tratti prevalenti del carcere. “Si contano, ad oggi, più di 60mila detenuti reclusi nelle carceri italiane”, conclude Verdolin.

“In un contesto di sovraffollamento, la conflittualità è un elemento molto presente in carcere: l’aumento della sofferenza sociale è un riflesso di quanto accade all’esterno”, sottolinea la ricercatrice. Il carcere diventa ‘un presidio malconcio’, uno spazio pensato per la contenzione della marginalità sociale, dove il personale è carente: mancano amministratori, operatori, polizia penitenziaria. “In un contesto simile, il farmaco è una soluzione immediata per la gestione del conflitto.” - evidenzia Verdolin.

“L’acuirsi dei conflitti tra detenuti ed operatori è dovuta ad una popolazione carceraria sempre più numerosa, ma non più rispondente alla gestione del penitenziario: un sistema incentrato sulla premialità, o al contrario sulla sanzione”, racconta Stecherle, dottorando in Scienze sociali presso l’Università degli Studi di Padova e membro dell’Associazione Antigone. A prescindere dai comportamenti dei detenuti, infatti, molti di loro non potranno accedere ai benefici promessi: permessi premio, sezioni più decorose o il riconoscimento di alcuni diritti come il lavoro o l’istruzione.

Stecherle racconta, inoltre, della grande ambiguità sul termine ‘detenuto psichiatrico’, spesso confuso con chi non si adatta al contesto carcerario o con chi dimostra un cosiddetto ‘comportamento anti-sociale’. “Esiste - ammette il ricercatore - una sottovalutazione e una difficoltà a cogliere le sfaccettature del malessere dei detenuti.” Secondo i dati del 19° Rapporto sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, le diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 detenuti si attestano intorno al 10%, ma il 20% dei detenuti assume stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi, e ben il 40,3% sedativi o ipnotici. A fronte di questo malessere, si contano in media 8,75 ore di servizio psichiatrico e di 18,5 ore di assistenza psicologica, ogni 100 detenuti. “Solo alcuni detenuti sono, inoltre, definiti psichiatrici a livello giuridico”, sottolinea il ricercatore. Devono esserci alcuni fattori sociali come l’assenza di un permesso di soggiorno, la mancanza di una rete familiare sul territorio o una ridotta disponibilità di risorse economiche. Il concetto di cura sembra, quindi, molto lontana dall’istituzione carcere. “Molte persone hanno addirittura una prima diagnosi di disturbo psichiatrico in carcere, con un etichettamento iniziale che definisce l’accesso alle risorse già in partenza”, conclude Verdolin.