di Aldo Tani
Corriere della Sera, 10 marzo 2023
Si chiude dopo quasi 5 anni il caso del detenuto tunisino coinvolto in un pestaggio nel carcere di Ranza con condanne che vanno da sei anni e 6 mesi a 5 anni e 10 mesi. Condanne che vanno da sei anni e 6 mesi a 5 anni e 10 mesi. Si chiude dopo quasi 5 anni il caso del detenuto tunisino coinvolto in un pestaggio nel carcere di Ranza, a San Gimignano. Il giudice Simone Spina ha riconosciuto tra i capi di imputazione il reato di tortura in concorso.
La vicenda aveva avuto luogo l’11 ottobre 2018, quando durante un trasferimento di cella l’uomo, detenuto per spaccio, fu picchiato. Le indagini avviate dalla procura di Siena pochi giorni dopo avevano ravvisato il coinvolgimento di 15 agenti della polizia penitenziaria. A febbraio 2021 dieci di loro erano stati giudicati colpevoli con rito abbreviato di reati minori. Oggi la condanna per gli altri cinque. Un precedente che - come ha spiegato l’avvocato di quattro dei cinque imputati, Manfredi Biotti - poneva le basi per un giudizio simile. Invece, il Tribunale ha scritto una pagina storica per la giustizia italiana, applicando il reato di tortura. Fatto che ha pochissimi precedenti nel nostro Paese.
“Ricorreremo in appello” - ha annunciato dopo la lettura del dispositivo da parte del presidente Simone Spina, l’avvocato Manfredi Biotti. Non comprendiamo quale è stato il ragionamento dei giudici ma ne prendiamo atto; vedremo le motivazioni e faremo appello, certo è un segnale molto brutto”, ha aggiunto Biotti.
Invece l’avvocato Michele Passione, legale del Garante dei detenuti, ha affermato, sempre dopo la lettura della sentenza: “Abbiamo sostenuto che il reato di tortura sia più grave quando è commesso dal pubblico ufficiale perché disegna un rapporto di potere che viene estorto tradendo la fiducia che ognuno deve avere nelle forze di polizia che sono nella massima composizione sane”.