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La Nazione, 8 settembre 2023

Le motivazioni della storica sentenza di condanna per la violenta aggressione a un tunisino di 31 anni. “Scelto perché mingherlino, nessuno lo avrebbe aiutato”. Nello stretto corridoio del carcere di Ranza a San Gimignano, l’11 ottobre 2018, un detenuto tunisino di 31 anni, era stato spostato di cella in modo forzato. Si trovava dentro per scontare una condanna per furti e droga. In quel corridoio sarebbe stato sottoposto ad un trattamento “inumano e degradante”, sosterrà poi il pm Valentina Magnini che ha seguito l’inchiesta fin dalle prime battute raccogliendo elementi contenuti in un fascicolo di migliaia e migliaia di pagine. Come documentato da un video delle telecamere interne di 4 minuti e 32 secondi, i quindici della polizia penitenziaria si sarebbero mossi “a falange”, indossando i guanti. Il detenuto credeva di andare a fare la doccia, aveva in mano asciugamano e spazzolino. Era successo tutt’altro.

A segnalare che c’era stato un episodio da valutare in primis la nota del magistrato di sorveglianza di Siena, unitamente alle lettere manoscritte di alcuni detenuti che si trovavano nel reparto di isolamento. Un caso subito bollente su cui era intervenuto anche il segretario della Lega Matteo Salvini, che si recò a Ranza dopo che emerse la vicenda a portare solidarietà.

C’è stata tortura, “oltre ogni ragionevole dubbio”, da parte di cinque agenti del carcere di Ranza a San Gimignano nei confronti di un detenuto tunisino di 31 anni. L’11 ottobre 2018 “è stata posta in essere, da parte di una squadra composta da 15 agenti, assistenti e ispettori del corpo di polizia penitenziaria ... una spedizione punitiva” nei confronti del carcerato. Che sarebbe stato scelto perché mingherlino, dunque più fragile, oltre che per la condizione psichica “disagiata”.

E ancora: perché non aveva fuori dalla cella nessuno che l’avrebbe aiutato per il trattamento ricevuto. Una sorta di punizione che poteva valere d’esempio per gli altri detenuti nel reparto di isolamento. Questa la ricostruzione fatta dal collegio presieduto dal giudice Simone Spina, che ha depositato le motivazioni della storica sentenza di condanna emessa il 9 marzo con i colleghi Elena Pollini e Francesco Cerretelli dopo tre anni di processo per i cinque della penitenziaria. Gli altri dieci colleghi erano stati condannati per lo stesso episodio nel febbraio 2021 con rito abbreviato a pene che variavano da 2 anni e 3 mesi a 2 anni e 8 mesi. Hanno fatto appello ma non c’è ancora la data dell’udienza.

I giudici senesi sostengono, come detto, che c’è stata “una spedizione punitiva orchestrata e condotta, dagli imputati, ai danni del detenuto che integra una manifesta violazione del divieto internazionale di tortura e trattamenti inumani o degradanti che risponde pienamente... ai tratti normativi descritti dall’autonomo delitto di tortura commessa da pubblici ufficiali”. Previsto dall’articolo 613 bis del codice penale. Proprio quello che con una proposta di legge targata Fratelli d’Italia si è chiesto alla Camera di abrogare lasciando in piedi solo una sorta di aggravante. Un tema dunque caldissimo del dibattito politico. Interessante, al riguardo, il passaggio della sentenza, dove si scrive “che la previsione della tortura come reato, ad avviso del tribunale, costituisce una forma di tutela non solo internazionalmente necessaria ma ancora costituzionalmente imposta e pretesa”, citando l’articolo 13 della Carta.

Le prove acquisite nel corso dell’istruttoria, secondo il collegio, mostrerebbero che il detenuto tunisino quel pomeriggio venne preso a forza dalla cella 4 nel lato A del reparto d’isolamento, “trascinato e strattonato lungo il corridoio” per metterlo nella numero 19. Venne colpito alla testa da due pugni, mentre si trovava in terra “ripetutamente percosso con molteplici calci inferti in più parti del corpo, per oltre trenta secondi”. Rialzato, era rimasto privo di vestiti. Era nuovamente caduto, venendo “compresso e schiacciato per più di 40 secondi” da uno degli imputati che pesava 135 chili. Insomma, quanto emerso dalle prove assunte nel contradditorio per i giudici senesi “corrisponde ad un disinvolto esercizio di violenta disumanità e ostentato disprezzo nei confronti della persona detenuta”. In sostanza si è trattato “di una ragionata e ben pianificata esecuzione di un atto di forza a carattere dimostrativo” con alcuni agenti, ossia i cinque imputati, che dirigono mentre altri (i dieci già condannati con rito abbreviato) “seguono e presenziano” contribuendo alla “carica intimidatrice” della spedizione punitiva.

Nelle 257 pagine delle motivazioni i giudici evidenziano, attingendo anche a numerose intercettazioni telefoniche, che gli indagati erano preoccupati per l’inchiesta e c’era necessità di “tenere la linea”. Una sorta di versione comune. Quella che il collegio definisce una “contro-narrazione” delineata in alcune relazioni di servizio stese una volta compreso che quanto avvenuto in isolamento era ormai uscito fuori dalle mura di Ranza. “Contro-narrazione” che si frantuma di fronte “alla chiara evidenza dei fatti direttamente raffigurati” nelle videoriprese che, ripetutamente contestate dalle difese, sono state al centro del dibattimento. Ritenute dai giudici “fonte di prova decisiva e assolutamente cruciale ai fini dei fatti” e di cui si ribadisce la genuinità. Che documentano “un trattamento inumano e degradante” nei confronti del tunisino pur escludendo l’aggravante della crudeltà. Nella sentenza si evidenzia anche che il detenuto era stato messo in isolamento in maniera illegittima, con decisione autonoma di uno degli imputati.

“Ci sono voluti sei mesi per la stesura della sentenza - commenta a caldo l’avvocato Manfredi Biotti che difende quattro degli agenti e premette che le motivazioni vanno lette con massima attenzione - avremo 45 giorni per presentare appello”. Ribadito di nutrire “ancora dubbi sulle modalità di acquisizione del video”, osserva “che se ciò che viene contestato è tortura vuol dire che il reato deve essere completamente riscritto perché evidentemente lo strumento a disposizione del giudice è troppo generale”.