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di Laura Montanari


La Repubblica, 22 settembre 2019

 

La vittima non ha voluto spiegare i segni sul volto: "Una caduta". Sono stati alcuni camorristi a raccontare dei calci e dei pugni. Quattro sorveglianti subito sospesi dal servizio. Per trasferirlo da una cella all'altra del carcere di San Gimignano, in provincia di Siena, sono andati a prenderlo in quindici: fra agenti e ispettori di polizia penitenziaria. Indossavano tutti i guanti. Pomeriggio dell'11 ottobre 2018. Lui, un cittadino tunisino di 31 anni, pensava di andare a fare la doccia, aveva le ciabatte ai piedi e un asciugamano al braccio. Invece è stato trascinato per il corridoio del reparto isolamento, picchiato con pugni e calci.

"Gli hanno abbassato i pantaloni", lui "è caduto" e hanno continuato a picchiarlo. "Sentivo le urla" racconta un detenuto, "poi lo hanno lasciato svenuto" in un'altra cella. Nell'ordinanza si parla di "trattamento inumano e degradante", di "violenza" e "crudeltà".

Quindici guardie, agenti, ispettori e assistenti sono indagati dalla procura di Siena per il reato di tortura. È uno dei primi casi contestati da che il reato è entrato in vigore due anni fa, il primo che riguarda pubblici ufficiali. Quattro sono i poliziotti sospesi dal servizio per quattro mesi secondo quanto disposto dal gip Valentino Grimaldi. La pm, Valentina Magnini aveva chiesto anche gli arresti domiciliari che invece non sono stati concessi.

Il detenuto tunisino non ha mai denunciato il pestaggio, ha rifiutato di farsi visitare dai medici. E quando gli hanno chiesto del taglio sul sopracciglio ha detto di essere caduto in cella. Chi indaga pensa che lo abbia fatto per paura. A raccontare prima a un'operatrice penitenziaria, poi a scrivere direttamente delle lettere al tribunale di sorveglianza sono stati altri detenuti che si trovavano l'11 ottobre 2018 in quello stesso braccio dell'isolamento.

Da lì partono le indagini. Cinque, tutti provenienti dalla sezione alta sicurezza, quindi in carcere per reati gravi. Camorristi e trafficanti di droga. Uno di questi (in isolamento perché trovato con un cellulare in cella, cosa vietata dal regolamento carcerario) ha riferito di aver assistito al pestaggio dallo spioncino e di essere stato colpito da una guardia con un pugno alla fronte: due giorni di prognosi. Altri hanno raccontato di minacce da parte delle guardie: "Adesso vi facciamo vedere chi comanda a San Gimignano".

O di frasi, contro il detenuto tunisino: "Perché non te ne torni al tuo paese?" "Non ti muovere o ti strangolo", "ti ammazzo". Ad aiutare gli inquirenti nella ricostruzione di quanto accaduto, ci sono le immagini delle telecamere, benché siano schermate dai corpi degli agenti e le intercettazioni. Fra i reati contestati agli agenti, ci sono le minacce, le lesioni e anche la falsità ideologica per aver tentato di "addomesticare" i rapporti e seppellire le prove del pestaggio con pressioni e intimidazioni.

Quello che sembra emergere dai fogli dell'inchiesta è che non si sarebbe trattato di un episodio isolato, se è vero quello che sostengono alcuni detenuti: "Noi del reparto isolamento per paura dormivamo a turno, cioè uno di noi rimaneva sveglio per avvisare gli altri, per non essere presi alla sprovvista, nel sonno in caso fosse arrivato qualcuno del personale a compiere atti di aggressione. Così non si poteva andare avanti".

Per questo in cinque scrivono al tribunale di Siena e al magistrato di sorveglianza: hanno paura. Puntano l'indice su una guardia in particolare soprannominata "lo sfregiato". Riferiscono anche di altri soprusi: lettere mai spedite, sequestri di effetti personali ("dal bagnoschiuma alle pentole"), del prolungamento dei tempi nelle celle di isolamento. Insomma un clima teso, incattivito, strano.