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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 9 settembre 2023

Testimonianze e prove raccolte rivelano un’azione finalizzata a terrorizzare e addomesticare i detenuti. Questo e altro ancora nelle motivazioni sulla condanna dei cinque agenti penitenziari. Nel frattempo a rischio il reato di tortura.

“Un vero e proprio esercizio di violenza, di abuso della forza pubblica e di abuso di autorità, perpetrato ad opera di componenti dell’apparato pubblico di custodia e, quindi, di appartenenti alle pubbliche Istituzioni”. E tale violenza, per di più, “non è stata affatto esercitata in forma istantanea, subitanea e isolata, ma si è piuttosto tradotta in plurimi, reiterati e distinti atti, tra loro legati tutti dall’unitario intento, portato avanti dagli odierni cinque imputati e condiviso anche dagli altri dieci imputati in procedimento connesso, di dar vita ad una punizione di A. che potesse valere “d’esempio” per tutti gli altri detenuti collocati nel reparto isolamento, così da ivi imporre l’ordine mediante il terrore e in modo di riaffermare, in quel contesto, rapporti di dominio mediante l’uso di esemplari forme di violenza collettiva”. Sono alcuni passaggi delle motivazioni, da poco depositate, riguardanti la sentenza di condanna nei confronti dei cinque agenti penitenziari del carcere di San Gimignano, con pene da 5 anni e 10 mesi fino a 6 anni e 6 mesi per torture, falso e minaccia aggravata nei confronti del detenuto tunisino.

Una delle prime condanne da quando è stato introdotto il reato di tortura - Si tratta di una delle prime condanne da quando è stato introdotto il reato di tortura che ora il governo vorrebbe cambiare. Un reato che in realtà risulta ben codificato e le sentenze lo dimostrano. “Abbiamo sostenuto che il reato di tortura sia più grave quando è commesso dal pubblico ufficiale perché disegna un rapporto di potere che viene estorto tradendo la fiducia che ognuno deve avere nelle forze di polizia che sono nella massima composizione sana”, ha ricordato l’avvocato Michele Passione, parte civile del Garante nazionale delle persone private della libertà. Ricordiamo che la prima lettera di denuncia su quei fatti la pubblicò Il Dubbio in esclusiva. Lettera giunta all’associazione Yairaiha Onlus, che si è costituita parte civile. “Dai loro racconti - ha commentato Sandra Berardi, presidente dell’associazione - è emerso chiaramente come la vessazione e i trattamenti inumani e degradanti fossero la norma anche prima dell’ottobre del 2018. Nella denuncia avevano parlato di vero e proprio metodo sistematico di intervento violento e vessatorio finalizzato a terrorizzare e addomesticare i detenuti”.

Il detenuto picchiato fu “compresso e schiacciato per più di 40 secondi” - Come si legge nelle motivazioni, secondo il collegio giudicante, la violenza illegittima commessa nei confronti del detenuto era “dunque, finalizzata ad incutere timore e terrore nell’ambito di una ristretta comunità, qual è quella dei detenuti collocati all’interno del reparto isolamento della Casa di reclusione di San Gimignano, al fine di restaurare l’ordine turbato da precedenti inottemperanze e manifestazioni di protesta poste in essere da questi ultimi, anche in tempi immediatamente recenti, nonché con finalità di preventiva dissuasione e generale deterrenza rispetto ad eventuali e futuri comportamenti scorretti e mal tollerati, da parte dei detenuti medesimi”. Le prove acquisite nel corso dell’istruttoria, secondo il collegio, mostrerebbero che il detenuto tunisino quel pomeriggio venne preso a forza dalla cella 4 nel lato A del reparto d’isolamento, “trascinato e strattonato lungo il corridoio” per metterlo nella numero 19. Venne colpito alla testa da due pugni, mentre si trovava in terra “ripetutamente percosso con molteplici calci inferti in più parti del corpo, per oltre trenta secondi”. Rialzatosi, era rimasto privo di vestiti. Era nuovamente caduto, venendo “compresso e schiacciato per più di 40 secondi” da uno degli imputati che pesava 135 chili.

I giudici tengono a sottolineare che “ferme e pacifiche, pertanto, le plurali violenze fisiche subite da A., le molteplici sofferenze da questi patite appaiono ampiamente provate e testimoniate tanto dalle espressioni e smorfie facciali da questi assunte nel corso della subita violenza, quanto dagli atteggiamenti posturali, tipicamente associati ad uno stato doloroso, percepiti da plurimi testimoni che, l’indomani, si sono recati a fare visita ad A.”. E dette sofferenze, da ultimo, “hanno inoltre costituito oggetto di espresse dichiarazioni da parte del medesimo A., che in più occasioni ha rievocato lo stato di profondo dolore avvertito e percepito quel giovedì 11 ottobre 2018, unitamente allo stato di angoscia, paura e frustrazione vissuti anche nei giorni seguenti”. Secondo il collegio giudicante, alla luce del complessivo quadro tracciato in materia di delitto di tortura, si ritiene che gli imputati abbiano dato, ciascuno, il loro rilevante contributo causale nell’inflizione di ripetute e plurime violenze nei confronti del detenuto, “che hanno a costui cagionato acute sofferenze fisiche nonché un complessivo trattamento inumano e degradante, sol che si pensi tanto alla prolungata fase della violenza collettiva sullo stesso esercitata, quanto e soprattutto alla condizione di privazione, per A., di parte del suo vestiario, protrattasi per un arco di tempo superiore alle dodici ore”.

Per i giudici c’è stata tortura “oltre ragionevole dubbio” - Quindi, “oltre ragionevole dubbio”, secondo i giudici c’è stata la tortura da parte di cinque agenti del carcere di San Gimignano nei confronti del detenuto tunisino di 31 anni. L’11 ottobre 2018 è stata posta in essere, da parte di una squadra composta da 15 agenti, assistenti e ispettori del corpo di polizia penitenziaria, una spedizione punitiva nei confronti del carcerato. E sarebbe stato scelto perché mingherlino, dunque più fragile, oltre che per la condizione psichica “disagiata”. Non solo. Anche perché non aveva fuori dalla cella nessuno che l’avrebbe aiutato per il trattamento ricevuto. Una sorta di punizione che poteva valere d’esempio per gli altri detenuti nel reparto di isolamento.

Ricordiamo che a febbraio del 2021, altri dieci agenti - i quali hanno scelto il rito abbreviato - sono stati condannati per i medesimi fatti. Anche in quella sentenza di condanna viene individuata la fattispecie autonoma di reato. Il giudice ci aveva tenuto a sottolinearlo. Non è un dettaglio di poco conto. La legge sul reato di tortura, a suo tempo, non fu accolta con entusiasmo da chi ha combattuto per l’introduzione perché potrebbe indurre a proporne la diversa lettura della norma in termini di fattispecie autonoma di reato. In estrema sintesi, la tortura da parte di pubblici ufficiali è inserita al secondo comma e c’era il rischio che venga considerata come una fattispecie aggravata, invece che come reato autonomo. Questo non è accaduto. Ma se dovesse passare la modifica proposta dal partito di maggioranza, passerà esattamente quello che si temeva. Un completo snaturamento della legge. A tal proposito è intervenuta anche Amnesty International, esortando il governo a ripensarci.