di Errico Novi
Il Dubbio, 16 ottobre 2024
C’è un’espressione chiave: “Effettività del divieto”. Compare nel parere sulla “legge Costa” approvato ieri, in forma identica, dalle due commissioni Giustizia, alla Camera e al Senato. L’espressione, per intenderci, è riferita alla “pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”, reato “fantasma” attualmente previsto all’articolo 684 del codice e che punisce (o dovrebbe punire) chi infrange, tra l’altro, il precetto reintrodotto (esisteva già, fino al 2017) su iniziativa del deputato Enrico Costa. La norma, secondo il documento votato ieri da centrodestra e Italia viva, dovrebbe essere ampliata, andrebbe cioè “ripensato” il “sistema sanzionatorio” in modo da costituire “un ragionevole argine alla sistematica violazione” del divieto.
Una misura contestata come un “bavaglio” dalle rappresentanze dei giornalisti e da buona parte dell’opposizione. In base al provvedimento già introdotto all’articolo 4 della “legge di delegazione europea 2022- 2023” (la legge 15/ 2024) e che il decreto legislativo sottoposto dal governo alle Camere dovrà attuare, il giornalista non può riportare in modo letterale le ordinanze di custodia cautelare, né in versione integrale né per “estratto”. Resterebbe intatto, secondo la controversa disciplina, il diritto del cronista a informare i cittadini sugli sviluppi di un’indagine, a condizione, appunto, di non citare in modo testuale gli atti dei gip. Il parere approvato nelle commissioni Giustizia di Montecitorio e Palazzo Madama, dunque, non solo è “favorevole” al divieto, ma chiede “ulteriori interventi correttivi in punto di correlato presidio sanzionatorio”.
L’articolo 684 del codice penale prevede una “ammenda da euro 51 a euro 258” per chi riporta atti di cui è vietata la “pubblicazione”. Si tratta di un’oblazione, il cui adempimento cancella il reato dal casellario giudiziario del giornalista: sanzione che, per il documento approvato a maggioranza, è “irrisoria”. Di certo si tratta di un reato impalpabile: oggi non esistono pm che si sognino di contestarlo, vista la sproporzione tra il dispendio di energie richieste dall’apertura di un’indagine e le conseguenze penali che, in un quadro simile, ne potrebbero scaturire. Ma il Pd è contrario a qualsiasi inasprimento: “Altro che garantismo: qui c’è solo un attacco a ogni forma di controllo e di contropotere democratici tipici dei sistemi liberali”, si legge nel comunicato diffuso dai senatori dem in Seconda commissione, vale a dire Alfredo Bazoli, Franco Mirabelli, Anna Rossomando e Walter Verini. A dire il vero, però, il “contropotere” in questione sembra casomai costituito da Procure e Polizia giudiziaria che, attraverso la imperturbabile violazione del segreto investigativo, trasferiscono notizie alla stampa ben prima che si arrivi all’ordinanza di arresto. È così che pm e investigatori innescano “distorsioni delle regole del processo” e pregiudicano una “decisione effettivamente terza” da parte del giudice, come ribatte Sergio Rastrelli di FdI, relatore del parere al Senato. Ed è così che si massacrano dignità e reputazione di presunti innocenti, i quali spesso risultano effettivamente innocenti alla fine del processo.
Certo la questione resta complicata. Il parere votato ieri non vincola il Consiglio dei ministri, a cui compete emanare in via definitiva il decreto legislativo attuativo della “legge Costa”. Vero è che il documento della maggioranza, appoggiato come detto dai renziani in entrambe le commissioni Giustizia, è stato elaborato dai due relatori anche d’intesa col ministero della Giustizia. E va segnalato come anche alla Camera ad assumere le vesti di relatore sia stato un parlamentare di Fratelli d’Italia, Andrea Pellicini. Tra i suggerimenti dati al governo c’è l’invito a inquadrare in una analoga cornice tutte le ordinanze cautelari: non solo quelle che dispongono la detenzione in carcere o ai domiciliari ma anche, per esempio, gli atti con cui i gip ordinano sequestri di beni o impongono divieti di avvicinamento, come per le violenze in famiglia.
Va anche segnalato che, insieme con l’innalzamento delle sanzioni pecuniarie (non “quantizzato” nel parere delle due commissioni), si sollecita l’esclusione, dall’articolo 684 del codice penale, dell’arresto (attualmente stabilito in 30 giorni). Costa, che aveva proposto l’emendamento sul divieto di pubblicazione testuale delle ordinanze, replica a propria volta alle critiche, rilanciate anche da Ilaria Cucchi di Avs: “È una norma a garanzia della presunzione di innocenza, e chi la descrive come un bavaglio mente in modo sfacciato, perché le informazioni sul contenuto degli atti giudiziari non sono minimamente intaccate”.
Nel parere c’è l’ipotesi di intervenire anche attraverso la modifica del decreto legislativo 231 sulla responsabilità di enti e imprese: in tal modo si punirebbe non il giornalista ma l’editore per l’ingiusto profitto ottenuto con l’uso testuale (e “suggestionante”) degli atti firmati dai gip. Vista la delicatezza della materia, non si può escludere che parte dell’intervento venga rimandato, dal governo, alle modifiche in preparazione, a via Arenula, proprio sulla “231”. Mediare potrebbe servire non solo a stemperare le accuse di “bavaglio” ma anche a sminare il campo in vista dell’elezione del giudice mancante alla Consulta: la nuova riunione del Parlamento in seduta comune è stata fissata per il 29 ottobre.