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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 23 dicembre 2023

Dall’inizio dell’anno 67 persone si sono tolte la vita. E in prossimità delle feste, quando la vita in cella diventa ancora più insopportabile, il bilancio si fa sempre più drammatico. Nonostante l’impegno delle associazioni dei volontari, il 25 e il 26 dicembre i reclusi resteranno in gran parte soli, senza visite, senza posta, senza telefonate. Il Natale è una festa da passare con i propri cari, ma per le persone detenute è un Natale “senza”. Senza i figli, senza i genitori, senza fratelli e sorelle. E quei figli, quei genitori, quei fratelli e sorelle hanno sempre un posto vuoto a tavola. Nelle patrie galere, le festività natalizie accentuano inevitabilmente il senso di solitudine per la lontananza dalle famiglie, nella assenza di proposte “trattamentali” (con la sospensione dei corsi scolastici e delle attività lavorative) e nella riduzione, causa ferie, di un personale già sotto-organico durante il resto dell’anno. A compensare, in minima parte, questo dramma ci pensano i volontari del Terzo settore, la Chiesa, le comunità come quella di Santo Egidio, ma anche il Partito Radicale e Nessuno Tocchi Caino con le loro visite.

Il carcere è un luogo separato, una sorta di extraterritorialità dove a piene mani si raccolgono, si respirano, si toccano la malattia, la debolezza, l’abbandono, l’emarginazione, il dolore. Il Natale, in particolar modo, amplifica tutto ciò. I giovani sono quelli più colpiti. Come non ricordare l’evasione di Natale avvenuta due anni fa da parte dei ragazzi del carcere minorile Beccaria di Milano? Come ha ricordato la garante Monica Gallo all’indomani del suo dossier “Giovani dentro e fuori”, quell’episodio “ripropone in maniera plastica i ritardi non solo di natura organizzativa e operativa, ma di visione e impostazione dell’esecuzione della pena, soprattutto nei confronti della fascia più giovane della popolazione detenuta”.

L’impennata dei suicidi. In prossimità delle festività, inesorabilmente c’è l’appuntamento con la morte. Anche quest’anno, si fa la macabra conta delle morti nel mese di dicembre. Pensiamo al carcere di Montorio dove un giovane marocchino di nome Oussama Saidiki, proveniente dalla quinta sezione, si è impiccato nella sua cella di isolamento. La notizia giunge a poche ore dalla morte di un altro detenuto avvenuta nell’ospedale di San Vittore a Milano, che ha commesso il gesto mortale durante la diretta della Prima della Scala di Milano. L’ultimo suicidio è avvenuto mercoledì scorso. Un detenuto ucraino di 51 anni, sposato con figli, si è impiccato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Era accusato di omicidio. Il giorno prima aveva partecipato ad un’udienza. È il terzo suicidio nel 2023 nello stesso istituto, rende noto il garante regionale Samuele Ciambriello. Siamo così arrivati a 67 suicidi dall’inizio dell’anno.

La galera diventa più insopportabile soprattutto nei giorni festivi. Il Natale in primis. Alla frustrazione di essere chiusi in una cella si aggiunge il dolore causato dal non poter essere vicino ai propri cari, in una serata di festa per stare con loro. Le feste in carcere amplificano le lontananze. Nonostante, come già detto, la buona volontà di chi opera nel sociale, per due giorni - Natale e Santo Stefano - la maggior parte dei reclusi delle patrie galere rimarranno inevitabilmente soli, senza visite, senza posta, senza telefonate. Si capisce che la vera aria del Natale carcerario, l’aria triste, si insedia nelle celle dopo la Santa messa. Proprio quando inevitabilmente volontari, vescovi, educatori e visitatori se ne vanno, ciascuno a fare Natale con i suoi.

Nessun regalo in arrivo - Il vero regalo di Natale che i detenuti attendevano non è mai giunto. Non vi è stato alcun miglioramento della situazione carceraria, solo un modesto contentino con qualche telefonata in più. Invano speravano almeno nei 75 giorni di liberazione anticipata ogni sei mesi, proposta di legge del deputato Roberto Giachetti di Italia Viva, ma che è rimasta nel cassetto. Come ben sappiamo, nulla di tutto ciò si è concretizzato. Dopo la parentesi della pandemia, che aveva di fatto liberalizzato le chiamate e introdotto, seppur minima, misura deflattiva, tutto è tornato alla normalità precedente. Ciò significa un ritorno al fallimento del sistema, con passi indietro che rappresentano un fallimento totale, anche nei confronti delle detenute con figli piccoli, giungendo persino a proporre che le detenute incinte possano restare dietro le sbarre.

Il sovraffollamento sta gradualmente raggiungendo i livelli che hanno provocato la sentenza Cedu “Torreggiani”, ma non è l’unico fattore che contribuisce alla violazione dei diritti umani. Il trattamento disumano e degradante in carcere può verificarsi indipendentemente dal rispetto dello spazio vitale in cella. Pensare che garantire una superficie di tre metri quadrati per detenuto possa evitare violazioni è un clamoroso errore. L’ordinanza che ha risarcito il detenuto dei Casalesi grazie all’istanza dell’avvocata Pina Di Credico, dimostra che sono decisivi altri fattori. Questo rappresenta il dramma delle carceri italiane, che si aggravano sempre di più a causa delle misure restrittive.

Trattamenti disumani e degradanti - Per una comprensione più approfondita, è necessario fare riferimento alla sentenza della Corte Europea nel caso Mursic contro la Croazia. I giudici della Corte di Strasburgo hanno ritenuto che numerosi altri fattori, quali la durata della detenzione, le possibilità di attività all’aperto, le condizioni fisiche e mentali del detenuto, e così via, giocano un ruolo importante nel decidere se le condizioni di detenzione rispettino o meno le garanzie dell’Articolo 3 della Convenzione, ovvero il divieto di tortura e di trattamento inumano o degradante.

È importante ricordare che, in ottemperanza alle richieste espresse dalla Corte Europea con la sentenza “pilota” Torreggiani, il legislatore italiano ha introdotto l’art. 35-bis nell’ordinamento penitenziario, che disciplina il procedimento per il reclamo giurisdizionale, oltre all’articolo 35-ter, che prevede i rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 Cedu. L’articolo 35 ter, quindi, deve richiamare i principi interpretativi e applicativi derivati dalla giurisprudenza comunitaria e interna che hanno trattato la questione delle condizioni di detenzione. Tra i casi rilevanti si annoverano Sulejmanovic, Torreggiani, Tellissi, G.C., Khlaifia, e altri contro l’Italia, insieme alla decisione della Grande Chambre nel procedimento Mursic contro la Croazia.

Ma quali sono i fattori che determinano la violazione dei diritti umani in carcere? Lo Stato è obbligato a garantire che le condizioni di detenzione siano compatibili con il rispetto della dignità umana. Le modalità di esecuzione non devono sottoporre il detenuto a uno stress o a una prova che superi il livello di sofferenza inevitabile associato alla detenzione. Nel caso di individui malati, le condizioni di detenzione devono essere adeguate al loro stato di salute, sia in termini di cure fornite che in termini di compatibilità con il mantenimento dello stato detentivo.

Per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della Cedu, un cattivo trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. Tale valutazione dipende dalla durata del trattamento, dagli effetti fisici o psicologici, nonché da fattori come sesso, età e stato di salute dell’individuo interessato. Sappiamo che la mancanza di spazio, soprattutto in situazioni di grave sovraffollamento, può costituire una violazione dell’articolo 3.

Ma anche se vengono rispettati gli spazi minimi, ci sono altri fattori da prendere in esame, ovvero l’uso riservato dei servizi igienici, la ventilazione disponibile, l’accesso alla luce naturale, la qualità del riscaldamento, il rispetto delle esigenze sanitarie di base e le attività trattamentali, lavorative e ricreative offerte. Senza il miglioramento delle condizioni di vita all’interno del carcere, l’implementazione delle attività sociali, lavorative, ricreative e della presenza del territorio, la costituzione di una cultura inclusiva, il riconoscimento del diritto all’affettività, la sanità e le misure deflattive, il carcere crea la disumanizzazione e quindi una violazione dei diritti umani. E tutto ciò diventa ancora più palpabile con l’avvicinarsi del Natale.