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di Claudio Zoccheddu

La Nuova Sardegna, 1 marzo 2023

L’avvocata Decina: “Non crediamo al suicidio, ci sono troppi aspetti da chiarire”. Stefano Dal Corso aveva intenzione di recuperare la sua vita. Lo aveva confessato alla sua famiglia e lo aveva ribadito alla sua compagna, da cui due anni fa aveva avuto una bambina. Tutto, insomma, faceva credere che il 42enne romano avesse solo voglia di scontare la sua pena e poi, dal 31 dicembre del 2023, ricostruire un’esistenza compromessa dalla detenzione e lo spaccio di droga, che lo aveva portato in carcere, e dalla tossicodipendenza. Invece, il 12 ottobre Stefano Dal Corso è stato trovato cadavere all’interno del carcere di Massama, dove si sarebbe impiccato alla grata della sua cella sfruttando il brandello di un lenzuolo. Suicidio, dunque, come hanno confermato il medico legale e la Procura della Repubblica di Oristano. Una tesi che, però, non ha mai convinto la famiglia di Stefano, che da tempo chiede che venga fatta chiarezza oltre ogni ragionevole dubbio. Perché le perplessità, infatti, non mancano.

Le richieste - La famiglia chiede che venga effettuata l’autopsia. Lo chiede da tempo, senza ottenere riposte. La conferma arriva da Armida Decina, avvocata della famiglia Dal Corso, che ha chiesto a più riprese l’esame post mortem, senza ottenere riscontri. “Ho presentato due istanze alla Procura di Oristano. La prima è stata rigettata, sulla seconda ho ottenuto solo una risposta informale dalla Pm Ghiani che ha confermato la prima versione: suicidio”. Eppure, i dubbi resistono. “Nonostante ci siano state fornite poche immagini - continua Decina - tra cui mancano quelle del corpo nudo e quelle che dovrebbero dimostrare la posizione in cui Stefano è stato ritrovato, ci sono tanti elementi che non ci hanno convinto. I primi riguardano le ecchimosi sul lato del collo e non sotto il mento, dove invece dovrebbero essere in un caso come questo, ma anche il colore violaceo della stessa ecchimosi, che indicherebbe tempistiche diverse da quelle indicate dalla direzione del carcere di Oristano, che invece ha dichiarato di aver trovato il corpo di Stefano pochissimo tempo dopo. Le nostre sensazioni sono state confermate dal medico legale di parte a cui ci siamo rivolti insieme alla famiglia”.

Ma c’è anche un altro l’aspetto a non convincere la dottoressa Cristina Cattaneo, dell’istituto di medicina legale di Milano, e l’avvocata della famiglia Dal Corso: “Secondo la dottoressa del carcere, Stefano sarebbe morto in seguito alle fratture delle vertebre cervicali. Il nostro medico legale ha sottolineato come sia in realtà impossibile definire questo tipo di frattura senza prima effettuare un’autopsia o perlomeno una tac. Eppure, non sono state fatte. Né una né l’altra”, aggiunge l’avvocata Decina.

Gli altri dubbi - Ci sono altri aspetti che non convincono. Il primo riguarda la sistemazione di Stefano: “Ci hanno detto che i detenuti in transito nel carcere Massama, come Stefano che era solo di passaggio nella struttura perché doveva comparire ad un’udienza nel tribunale di Oristano, non vengono assegnati ai reparti ma restano nelle celle dell’infermeria, tutte singole. Ebbene, in una delle foto che ci sono state fornite si vede il letto della cella in cui Stefano si sarebbe impiccato, perfettamente integro. Da dove avrebbe ricavato il brandello di tessuto utilizzato per il cappio?”, domanda l’avvocata.

A turbare la famiglia di Stefano, poi, ci sarebbero e alcuni voci provenienti dal carcere che racconterebbero una realtà diversa, con Stefano protagonista di un violento diverbio appena qualche ora prima del presunto suicidio: “Sono voci senza alcun riscontro - taglia corto l’avvocata Decina -. Io mi soffermerei più sulla lettera che aveva inviato alla compagna appena sei giorni prima di morire, dove le scriveva di non vedere l’ora di uscire per ricominciare una vita con lei, sull’incontro che aveva avuto con la figlia due giorni prima di morire. Non sono i comportamenti di un aspirante suicida. E, in ogni caso, basterebbe effettuare l’autopsia per fugare ogni dubbio”, conclude l’avvocata.