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di Silvia Sanna

La Nuova Sardegna, 8 agosto 2023

Penitenziario di Uta, assunti quattro detenuti. Sono 190 in tutta l’Italia. Sarà bello guardarli negli occhi quando varcheranno la soglia del Vaticano, che da settembre diventerà la loro seconda casa. Sono due detenuti che prima di inciampare nell’errore che li ha portati in carcere, facevano gli elettricisti.

E lì, nel cuore della Chiesa cattolica, entreranno nella prima veste, quella di professionisti chiamati a lavorare. Poi, la sera, rientreranno in cella a Rebibbia, benedetti dal Signore e baciati dalla fortuna. Perché, nella sventura, hanno incrociato un progetto che regala fiducia in se stessi e fa venire voglia di ricominciare.

È la loro “seconda chance” come si chiama appunto l’iniziativa ideata e portata avanti con grinta ed entusiasmo da Flavia Filippi, cronista di giudiziaria de La7, una persona alla quale, racconta chi la conosce “è difficile dire di no”. E in Sardegna non lo ha fatto Marco Porcu, direttore del carcere di Uta dal 2017, che la seconda chance vorrebbe regalarla a tanti detenuti e detenute nella struttura “perché - spiega - lavorare all’esterno è un grande valore aggiunto. Aiuta le persone a guardare oltre le sbarre, a costruire il futuro che verrà dopo”. Per ora sono 4 i detenuti coinvolti, ma il numero è destinato a crescere presto.

Dal carcere in azienda - Ogni mattina escono insieme dal carcere: sono quattro, hanno dai 30 ai 50 anni, tre italiani e un extracomunitario. Grazie all’impegno del direttore Marco Porcu che ha smosso con pazienza e tenacia il muro della burocrazia, sono autorizzati a utilizzare l’auto privata di uno dei quattro per raggiungere il luogo di lavoro a Monastir e per rientrare a Uta al termine del turno. L’azienda che li ha assunti, con contratto settimanale di 39 ore (6 ore e 30 al giorno dal lunedì al sabato) è la Joule, che gestisce la logistica per un importante gruppo in Sardegna e nel Lazio.

Il presidente è Roberto Pau: “Sono magazzinieri, lavorano insieme a un team di colleghi nella preparazione degli imballaggi. È un lavoro pesante e faticoso: loro quattro, con noi dall’inizio di luglio, lo stanno facendo benissimo. Sono entusiasti, e noi felicissimi. Il progetto “seconda chance” è una iniziativa lodevole che fa bene a tutti, ai detenuti e alle aziende che li accolgono. Quando Flavia Filippi me ne ha parlato non ho avuto dubbi - spiega Pau - e l’adesione è stata immediata”.

L’inserimento dei quattro detenuti sardi in azienda è avvenuto dopo le prime esperienze positive nel Lazio: “Abbiamo avviato la collaborazione con il carcere di Civitavecchia, assumendo a Tarquinia due detenuti che scontano la pena in quella struttura. Anche loro come magazzinieri. Poi se ne sono aggiunti altri due, e visti gli ottimi riscontri, abbiamo ripetuto l’esperimento in Sardegna. Tutti si sono integrati benissimo, da parte dei colleghi sono stati accolti senza alcun pregiudizio: zero domande, sono loro che decidono di aprirsi e raccontarsi, perché si sentono a loro agio. Credo che tante aziende dovrebbero approfittare di questa opportunità: innanzitutto per l’alto valore sociale ma anche per la possibilità di trovare figure molto ricercate, come appunto magazzinieri, tecnici specialisti, addetti nel settore turistico”.

Non solo: la legge Smuraglia (193/2000) prevede sgravi contributivi e fiscali per le imprese o cooperative che assumono detenuti in stato di reclusione o ammessi al lavoro all’esterno. “Noi non ne usufruiamo perché la Joule fa parte di un contesto societario più ampio e pertanto non accede alle quote de minimis”.

La rete si allarga - “Abbiamo tante manifestazioni di interesse - dice il direttore Marco Porcu - e una solidarietà crescente. Grazie a “seconda chance” la Technogym ha donato al carcere di Uta gli attrezzi per le palestre ed è stato un gesto importante, perché l’allenamento fisico per i carcerati è un toccasana.

Più a Nord, ad Alghero, i ristoratori titolari della Botteghina (Ryan Luca Spiga e Giuseppe Ballane) sono andati in carcere per cercare personale e ora stanno assumendo un detenuto-lavapiatti per il loro locale a Roma. La rete si allarga in fretta, gli incontri tra detenuti e imprenditori si moltiplicano in tutta Italia. E quasi tutti si chiudono con un sorriso e una stretta di mano: scatta empatia, voglia di aiutarsi, perché la seconda chance è giusta e fa bene al cuore.