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di Francesco Bei

La Repubblica, 18 giugno 2023

La presidente della Consulta ricorda al governo il principio dell’autonomia della magistratura. Di fronte allo scontro con i pm invoca il metodo dell’ascolto. Professoressa di diritto del lavoro, Silvana Sciarra lo scorso settembre è stata eletta presidente della Corte costituzionale succedendo a Giuliano Amato.

Il primo giorno di sole romano entra nella grande stanza di fronte al Quirinale, Sciarra siede su un divanetto sotto un quadro di Balla, recuperato nella collezione della Consulta. In questa intervista afferma l’indiscutibile supremazia del diritto comunitario su quello nazionale, ricorda al governo il principio di indipendenza e autonomia della magistratura e, soprattutto, invoca il metodo dell’ascolto, in un momento in cui si riaccende lo scontro sulla giustizia.

Il Capo dello Stato ha ricordato di recente l’articolo 104 della Costituzione che riconosce all’ordine giudiziario i due “presidi indiscutibili” dell’autonomia e dell’indipendenza da ogni altro potere. Nel momento in cui il governo si propone di riformare profondamente la giustizia le sembra che questi due presidi siano a rischio?

“L’altra mattina entrando in Corte ho provato emozione nel vedere all’ingresso del Quirinale una lunga fila di magistrati in tirocinio, in attesa di essere ricevuti dal Presidente Mattarella. In loro riponiamo tutti una fiducia profonda. L’amministrazione della giustizia ispirata a criteri di imparzialità e sobrietà rappresenta un pilastro dello stato di diritto. Lo ripetono costantemente le due Corti europee, facendo sentire la loro voce da Lussemburgo e da Strasburgo. Per questo mi colpisce molto nelle parole del Presidente il richiamo a una “proficua interlocuzione”, che comporta anche a quel livello capacità di ascolto. L’ascolto, che impariamo a praticare nei nostri rapporti privati, diviene una dote irrinunciabile quando si opera al servizio delle istituzioni, perché è prova di immedesimazione nelle finalità delle istituzioni stesse; è insieme un esercizio di modestia e di forza”.

Presidente, in questi anni la Corte è stata un presidio dei diritti. Ma l’anno prossimo ci sono quattro giudici che arrivano a fine mandato e la maggioranza di destra potrebbe eleggere solo membri della Consulta a sua immagine. È successo già negli Stati Uniti e non è finita bene: la Corte Suprema trumpiana ha vietato l’aborto. È una preoccupazione che lei condivide?

“Non mi permetterei di entrare nei criteri di scelta dei giudici di nomina parlamentare. Il fatto che la Costituzione suggerisca un quorum così alto - tre quinti dopo la terza votazione, quorum che non scende mai nelle votazioni successive - è evidentemente un’indicazione. Significa che i giudici devono essere scelti per la loro “rappresentatività trasversale”. Vuol dire che non devono appartenere ad alcuna componente politica del Parlamento che li esprime, ma dovrebbero portare nel collegio un patrimonio di competenza, di indipendenza e di professionalità. Comunque la Costituzione prevede, come è noto, una composizione mista, dove solo cinque giudici sono di nomina parlamentare. Quindi già la composizione mista è una garanzia di pluralismo”.

Pluralismo politico?

“No, mi riferisco al pluralismo delle personalità, dei punti di vista. Come cittadina, oltre che come presidente della Corte, io mi augurerei che questo equilibrio di competenze, professionalità e di indipendenza fosse assicurato anche in futuro. È la grande ricchezza di un organo di garanzia. Enzo Cheli - vice presidente emerito della Consulta - diceva che la Corte “si ferma prima della politica” e che nasce come “uno snodo elastico tra le due sfere”, tra la giurisdizione e la politica. È uno scritto nel 1966 ma quanto è attuale!”.

Fratelli d’Italia, prima della vittoria elettorale, aveva presentato un disegno di legge che teorizzava il primato del diritto nazionale su quello comunitario. Poi si sono fermati, ma nei paesi sovranisti, ad esempio Polonia e Ungheria, resta sempre questa tensione fra diritto nazionale e Ue. In Italia la vede?

“Assolutamente no e spero di non vederla mai. Proprio sulla scorta del caso polacco, il tema dell’indipendenza della magistratura è diventato uno dei temi centrali nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Fra i valori fondanti dell’Unione europea c’è lo Stato di diritto e l’indipendenza dei giudici è la precondizione - lo scrive la Corte di Lussemburgo - per accedere ai valori della democrazia. Le due cose si intersecano profondamente. La Corte polacca nel 2021 ha avuto un gesto di totale ribellione nei confronti della supremazia del diritto europeo, ma anche questo principio è nel trattato dell’Unione europea che gli Stati membri sottoscrivono”.

Perché è così importante questa supremazia?

“Perché la nostra è un’unione di Stati e deve reggersi su questo collante. Se viene meno questo viene meno la stessa Unione. L’altro pilastro è il riconoscimento del ruolo della Corte di giustizia di Lussemburgo, che è sovrana nell’interpretazione del diritto dell’Unione. La corte polacca ha messo in discussione questi punti e il contrasto con la Corte di Lussemburgo non si è ancora concluso. Un problema simile si pone anche per l’Ungheria”.

Tra governo e Corte dei conti c’è stato uno scontro molto acceso sul “controllo concomitante” sull’attuazione del Pnrr. Il governo è intervenuto con una ghigliottina, cancellando questo potere per decreto. Il presidente della magistratura contabile, Guido Carlino, in uno scatto d’orgoglio, ha affermato che comunque il controllo proseguirà perché è garantito dall’articolo 100 della Carta. Ha ragione Carlino nel farsi scudo della carta costituzionale?

“È vero che scatta quello che lei chiama l’orgoglio dell’appartenenza a un organo giurisdizionale, lo posso comprendere, perché il presidente di quella corte è tenuto a garantire le prerogative della magistratura contabile. Sul merito del decreto non posso commentare, sono scelte del governo”.

In questi giorni si è sviluppato un dibattito sull’allergia ai controlli di questa maggioranza (Upb, Anac, Corte dei conti) con due tesi contrapposte: c’è Prodi che parla apertamente di un rischio di autoritarismo, mentre Giuliano Amato non condivide, pur invitando Meloni a prendere le distanze da Orbán. Lei vede un’insofferenza ai controlli indipendenti?

“Sono animata da uno spirito positivo e non voglio vedere derive autoritarie. Non spetta a me esprimere giudizi politici, parlo da un punto di vista tecnico, che riflette anche la posizione della dottrina. Facciamo l’esempio dell’ufficio parlamentare di bilancio: è un’istituzione attiva in altri paesi europei, in osservanza del Trattato. In Italia è originata da una legge costituzionale del 2012 che introduce il pareggio di bilancio in Costituzione. Nasce con una funzione di controllo, come organo indipendente. L’indipendenza, infatti, come criterio guida, vale non solo per le magistrature, ma anche per le autorità di garanzia, con le quali ci vuole un dialogo e un confronto. È il cuore della separazione dei poteri su cui si basano gli equilibri democratici. C’è solo da guadagnare nell’ascolto e nella collaborazione”.

Il governo procede con il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. Voi giudici costituzionali siete anche un presidio a difesa dei diritti da garantire ugualmente in tutte le Regioni d’Italia, per esempio il diritto alla salute. Siete preoccupati?

“Non sono preoccupata e non do consigli a nessuno. Certo è vero che alla Corte giungono molti ricorsi in via principale, ovvero azioni intraprese prevalentemente dallo Stato che impugna leggi regionali. E cosa si impara da questa giurisprudenza? La Corte, specie dopo la riforma del Titolo V, ha segnato dei punti di equilibrio fra centro e periferia. È chiaro che la tutela della salute è un diritto da tutelare al massimo, richiamando un principio forte e “bello” come quello di solidarietà. C’è una solidarietà fra cittadini ma c’è anche una solidarietà tra Regioni quando si tratta di garantire un bene collettivo sancito dalla Costituzione”.

Maternità surrogata, la Corte se ne occupò in una sentenza rimasta celebre scritta proprio da Amato. La maggioranza si propone ora di trasformare il divieto in un reato universale. È un’impostazione che può reggere dal punto di vista giuridico?

“Non entro in un progetto all’esame del Parlamento. Voglio precisare che la Corte non si è mai occupata di maternità surrogata; la frase che lei ricordava è un inciso di una sentenza in cui, nel trattare del riconoscimento del figlio naturale nato attraverso maternità surrogata, si stigmatizza questa pratica per il possibile sfruttamento della donna e perché lesiva della sua dignità. La Corte cerca di trattare in modo uguale i diritti dei figli nati da coppie dello stesso sesso. In Italia si fronteggia questo dilemma, che non sta a me sciogliere ma al legislatore. Possiamo immaginare che vengano trattati in modo diverso i nati? Partiamo da questi due fatti: sono “nati” e sono “in Italia”“.

Allora che si può fare?

“Su questa scelta il legislatore si dovrà misurare perché sono soggetti bisognosi di tutela, anzi sono tra i soggetti più fragili perché non hanno scelto come venire al mondo. La Consulta si è preoccupata di individuare un perimetro per tutelare questi soggetti titolari di diritti umani. Per esempio, il diritto all’identità, che per un “nato” deriva dalla presenza di un nucleo famigliare. La Corte dei diritti dell’uomo non si spinge a dire che tipo di famiglia debba essere quella che accoglie il nato, lasciando agli stati ampio margine di apprezzamento”.

Infatti, anche sul tipo di famiglia in Italia c’è molto scontro. Per la destra è solo quella tradizionale, composta da un padre e da una madre. E per la Consulta?

“L’articolo 29 della Costituzione riconosce la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”. Poi però c’è l’articolo 2 con cui la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Le formazioni sociali costituiscono altri esempi di nuclei famigliari. La Corte non può ridefinire il concetto di famiglia scolpito nell’articolo 29, ma la stessa Costituzione prevede altre formazioni sociali in cui possono essere tutelati i diritti della persona”.

In Italia si riparla di riforme istituzionali e presidenzialismo. Anche nella versione “soft” del premierato su cui si sta orientando il governo, non ci sarebbe comunque un vulnus ai poteri del capo dello Stato?

“Quella del Presidente della Repubblica, nella Costituzione e nel contesto istituzionale italiano, è una figura molto originale, presente ma discreta, garante dell’unità nazionale in tutti i consessi, incluso quello europeo, con una presenza critica, mai succuba. A me, come cittadina, piacerebbe che non venisse toccato questo ruolo di un presidente con poteri che non sono soltanto di rappresentanza, ma sono di orientamento anche rispetto al ruolo dell’Italia nei consessi europei”.

Sull’emergenza climatica c’è una grande mobilitazione dei giovani, prima con i Fridays for Future, poi con Ultima Generazione. È possibile immaginare una tutela per il diritto a poter nascere in un pianeta che sia ancora vivibile?

“L’articolo 9, dopo la recente revisione costituzionale, fa esplicito riferimento all’interesse delle future generazioni. Fra le Corti costituzionali europee c’è un dibattito su come tutelare le future generazioni. Lo sforzo si concentra sul dovere degli Stati nazionali di garantire il diritto all’ambiente, alla salute, all’acqua, al cibo. Pensi che la Corte di Karlsruhe è stata investita di una questione sollevata da minori, rappresentati dai genitori, per chiedere allo Stato tedesco di tutelare la loro salute. E anche in Italia c’è un primo caso che sarà deciso dal tribunale di Roma”.

Cosa si può chiedere allo Stato?

“Si può certamente chiedere di adempiere agli obblighi assunti a livello internazionale. Come si può abbandonare la convenzione di Parigi? Esiste un regolamento che vincola gli stati membri al rispetto della riduzione delle emissioni che producono alterazioni del clima terrestre. Non è ambientalismo e movimentismo di facciata, i giovani devono sapere che si possono individuare casi concreti di diritti da far emergere anche dalla giurisprudenza delle corti costituzionali”.