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di Rocco Vazzana

Il Dubbio, 24 febbraio 2024

Diciotto anni. Tanto è passato dall’ultimo indulto della storia Repubblicana. A Palazzo Chigi sedeva Romano Prodi, per il suo secondo e breve governo, in via Arenula c’era Clemente Mastella che un ruolo determinante avrà, di lì a poco, proprio per sgambettare il Professore. Eppure, al netto dell’instabilità ontologica di quegli esecutivi, il 31 luglio del 2006 il centrosinistra riesce a far passare in Parlamento (a maggioranza dei due terzi in ciascuna Camera) l’indulto “per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie”, si legge sul sito del ministero della Giustizia. “Sono stati esclusi tuttavia i reati di maggiore allarme sociale, quali, ad esempio, associazioni sovversive, sequestro di persona, atti di terrorismo, pornografia minorile, violenza sessuale, tratta di persone, usura. Si applicherà la revoca del beneficio dell’indulto per i recidivi che, entro cinque anni, commettano un reato che preveda una pena detentiva non inferiore a due anni”.

Violentemente contrari al provvedimento sono Alleanza Nazionale, la Lega Nord e l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. La legge comunque passa. Erano anni che il Paese attendeva un provvedimento del genere. Già sei anni prima, Papa Wojtyla confidava in un atto di clemenza per il giubileo del 2000. Una richiesta formalmente “presentata” nel documento per il Giubileo nelle carceri, in occasione della visita del Pontefice al penitenziario romano di Regina Coeli, e reiterata nel 2002 in un discorso tenuto al Parlamento italiano. Proprio per questo, nel 2006, un anno dopo la scomparsa di Wojtyla, Mastella dedicherà il suo indulto “a quella figura stanca che arrivò in mezzo a noi a Montecitorio e ci diede un’indicazione: a Giovanni Paolo II, ad un grande Papa. Oggi dedico questo grande gesto a lui”.

A beneficiare del provvedimento di clemenza, a un anno dall’entrata in vigore della legga, furono complessivamente 26.585 detenuti. Una boccata d’ossigeno, anche se momentanea, per le carceri italiane che fino a quel momento contavano 61.392 “ospiti” a fronte di una capienza massima di 43.200 posti. Fu un sollievo temporaneo come non mancò di segnalare immediatamente l’allora pm veneziano Carlo Nordio: “Il mio giudizio sarebbe positivo se l’indulto fosse stato accompagnato dall’amnistia; e questa a sua volta da una radicale trasformazione del codice penale e di procedura, con una seria depenalizzazione e snellendo i processi. In queste condizioni invece, considerati anche i tagli al bilancio della giustizia, abbassare tre anni di prigione, costringendo i giudici a disfare quel che hanno fatto, significa solo rompere il termometro per non vedere la febbre”. Diciotto anni dopo, la situazione non è molto cambiata.