di Tiziana Maiolo
Il Dubbio, 5 settembre 2024
Alcune sembrano essere diventate un terreno fertile per astuzie procedurali: l’utilizzo strumentale delle accuse di stampo mafioso sta trasformando alcune inchieste giudiziarie in esercizi di potere arbitrario. Certe inchieste giudiziarie sembrano diventate terreno per giocolieri e competizione di astuzie. Quando il presidente dell’Unione Camere penali, Francesco Petrelli, riferendosi alle modalità di indagine usate nell’inchiesta su Giovanni Toti, parla di “arbitrarietà priva di sanzioni della scelta da parte del pm delle incolpazioni di ambito mafioso”, allude proprio alle astuzie procedurali ormai sempre più diffuse. Che impugnano come un’arma da combattimento la parola magica: la Mafia.
Perché la normativa sui reati di criminalità organizzata è ormai diventata nel nostro ordinamento un elefante incontrollabile, ma al contempo così snello nei suoi movimenti da poter essere introdotto in ogni pertugio di ogni inchiesta. Nel totale arbitrio dei pubblici ministeri. Se nella contestazione di qualunque reato aggiungi la finalità mafiosa, ti si apre davanti un’autostrada. Puoi indagare per due anni in modo nascosto senza il dovere di informare nessuno. Le intercettazioni, i cui decreti nel regime ordinario hanno la durata di 15 giorni, diventano magicamente 40, con tutte le possibilità infinite di proroga. Eccetera.
Ecco perché ogni processo al sud, anche quello per abigeato, se rubi tre pecore invece che una, diventa magicamente di tipo mafioso nelle mani anche del pm che ha appena ricevuto le funzioni. E le mani, oltre che pure per definizione da Di Pietro in poi, diventano immediatamente anche libere. Di spaziare in un campo più largo di quello sognato in politica da Elly Schlein, con la sacralità di chi sta purificando la società dai suoi mali più estremi.
L’abbiamo visto in Calabria, dove le inchieste promosse dall’ex procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, tutte aperte con aggravanti che consentivano gli arresti, sono poi state in gran decimate da provvedimenti della Cassazione che non ravvisava l’esistenza di quel “concorso esterno” che consentiva l’uso di manette preventive e di intercettazioni, e poi nelle tante assoluzioni in tribunale. L’abbiamo toccato concretamente a Roma, dove l’ex procuratore Giuseppe Pignatone aveva osato il massimo con quella denominazione di “Mafia Capitale” che aveva sputtanato la città e l’Italia intera in tutto il mondo. Naturalmente la mafia non c’era, ma lo scopo delle mani libere era stato raggiunto. E infine, bastava leggere le carte dell’inchiesta Toti per verificare come i giochi di prestigio siano diventati giochi di specchio, con le immagini e le imputazioni che si inseguivano nelle intercettazioni e nelle riprese delle cimici, che stavano sveglie giorno e notte, nell’ufficio del presidente della Regione Liguria, anche quando lui era a casa a dormire, magari con il cellulare acceso e qualcuno che lo controllava.
Tutto questo è stato possibile solo perché all’origine dell’inchiesta, nata a La Spezia nei confronti del capo di gabinetto del governatore, Matteo Cozzani, ex sindaco di Portovenere, su questioni urbanistiche legate al suo ruolo di primo cittadino, è stato contestato proprio il jolly pigliatutto, l’aggravante mafiosa. Determinata dall’ipotesi di partecipazione alla criminalità organizzata di tre persone originarie di Riesi, in provincia di Caltanissetta ma residenti in Liguria e in Lombardia, che si erano impegnate a portare qualche centinaio di voti nelle elezioni amministrative di Genova.
Un vero voto di scambio in realtà non c’era mai stato, forse qualche vaga promessa non mantenuta di posti di lavoro o di agevolazione in un cambio di casa popolare. E soprattutto nessuno dei “mafiosi” è mai stato arrestato. Ma, dal primo decreto di intercettazione telefonica di Matteo Cozzani del 17 agosto 2020, fino al secondo del 3 marzo 2021 che consente captazioni tra presenti, cioè cimici negli uffici della Regione Liguria, la strada è aperta per “sorvegliare e punire” il presidente Giovanni Toti.
È la concretizzazione di quello che, negli anni settanta, il professore ed ex magistrato Luigi Ferrajoli e con lui la parte più garantista di Magistratura democratica, chiamavano la politica del “tipo d’autore”. Cioè un soggetto ritenuto pericoloso a prescindere dai suoi comportamenti, colui di cui si chiede la punizione non per quello che ha fatto, ma per quello che potrebbe fare a causa del suo essere in un certo modo o svolgere determinate funzioni.
Il tema, in seguito abbandonato dalla corrente di sinistra della magistratura, sempre più chiusa in una visione corporativa e di casta della categoria, fu ripreso nel 2019 da Luciano Violante. Il quale ne scrisse su un numero della rivista “Questione giustizia”, con un saggio dal titolo “L’infausto riemergere del tipo d’autore”, in cui indicava come soggetti prescelti da individuare e accerchiare fino a poterli poi processare, da una parte gli immigrati e dall’altra i politici e i pubblici amministratori. Questa attività da giocolieri con l’astuzia da combattimento porta con sé, oltre a una profonda ingiustizia perché accompagna il pubblico ministero lontano dai suoi doveri di indagare su reati già commessi, verso la prateria in cui si indaga la persona per andare a cercare eventuali suoi reati, anche la totale disparità tra accusa e difesa.
Come potranno ora nei prossimi quindici giorni che separano dalla data del processo immediato a Genova, i difensori degli imputati assistere a quattro anni di registrazioni audio e video? Dove finirà la parità processuale tra accusa e difesa? Se possiamo aggiungere considerazioni più pungenti di quanto gli avvocati e lo stesso presidente Petrelli possano consentirsi, vediamo da parte della magistratura genovese anche una certa dose di arroganza. La si respira dagli atti della procura e ancora di più dai provvedimenti dei giudici. Che hanno usato a piene mani il “tipo d’autore”.
Giovanni Toti, hanno detto e scritto, era già colpevole in sé e nel suo ruolo di governatore. Infatti lo hanno lasciato libero solo al prezzo delle dimissioni. Solo tornato semplice cittadino, potrà diventare un imputato come gli altri. Missione compiuta. Ora ci penseranno gli elettori a raddrizzare la situazione. Bel colpo… d’autore.