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di Niccolò Carratelli

La Stampa, 22 aprile 2022

Il presidente di Baobab Experience accusato di favoreggiamento, rischia fino a 18 anni di carcere. Trattato come uno scafista o un trafficante di esseri umani. Anche se è l’esatto contrario, perché da anni si impegna per accogliere e aiutare i migranti, senza guadagnarci nulla.

Andrea Costa è il presidente di Baobab Experience, associazione romana che dal 2015 offre assistenza ai disperati in transito nella Capitale: più di 50 mila quelli supportati in questi anni. Il 3 maggio inizierà un processo contro di lui, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per aver aiutato otto ragazzi sudanesi e un ciadiano a comprare i biglietti del pullman per andare a Genova.

Era l’inizio di ottobre del 2016, pochi giorni prima c’era stato l’ennesimo sgombero del centro di accoglienza di Baobab, a due passi dalla stazione Tiburtina: le forze dell’ordine avevano smantellato la struttura e lasciato per strada circa 300 migranti. Il campo della Croce Rossa a Roma era sovraffollato e i nove giovani migranti volevano raggiungere quello di Ventimiglia, dove le condizioni di ospitalità erano migliori, per poi puntare all’ingresso in Francia. In quelle ore difficili Costa era intercettato, gli investigatori ascoltavano le sue telefonate perché sospettavano Baobab Experience di associazione per delinquere, il caso era seguito addirittura dalla Direzione distrettuale antimafia. È il periodo degli attacchi politici alle operazioni di soccorso delle Ong nel Mediterraneo, le settimane della propaganda contro i “taxi del mare”.

“Accuse senza riscontri”. “Ma quell’ipotesi non trova riscontro. Nelle intercettazioni registrate da ottobre a dicembre 2016 non c’è traccia né di associazione né di profitto - spiega l’avvocato difensore Francesco Romeo - Anzi, il controllo sui conti di Costa in quel periodo mostra 15 euro di scoperto”.

Quindi, le indagini sembrano destinate a chiudersi in un nulla di fatto, ma “così come del maiale non si butta via nulla, è stata recuperata l’attività di aiuto di quei 9 migranti”. Agli atti c’è la telefonata con cui Costa avvia la colletta per raccogliere i soldi, comprare i biglietti ai ragazzi e fornire loro poche cose da portare in viaggio: un pranzo al sacco e prodotti per l’igiene. Per Costa e quelli di Baobab è ordinaria amministrazione, lo hanno già fatto centinaia di volte, per migliaia di persone. Ospitate prima nel centro di Via Cupa, poi con le tende in un terreno dietro la stazione. Sgomberati a ripetizione, “una quarantina di volte in pochi anni”, raccontano gli attivisti. Fino all’epilogo, con gli ultimi disperati accampati nel parcheggio alle spalle dei binari.

“Rischio una condanna da 6 anni e mezzo a 18 anni di reclusione e ancora non ho capito quale sia il reato - dice Costa - hanno fatto indagini pesanti su di me: pedinamenti, migliaia di ore di intercettazioni telefoniche, accessi ai conti bancari, così si saranno accorti che da quando sto al Baobab i soldi ce li ho rimessi sempre”. Costa è imputato insieme a un attivista, che lo ha aiutato a raccogliere il denaro, e a una volontaria, che ha accompagnato i 9 migranti a Genova e poi al campo di Ventimiglia. Una vicenda giudiziaria dai contorni paradossali: “Tutte le organizzazioni che offrono aiuto ai migranti, a cominciare dalle Ong che prestano soccorso in mare, sono il nemico numero uno dei trafficanti”, sottolinea Costa. Che è appena tornato da una missione al confine tra Ucraina e Moldavia, “dove abbiamo recuperato e portato indietro con noi mamme e bambini ucraini: abbiamo attraversato cinque frontiere ricevendo il sorriso delle autorità”.

La clausola umanitaria - Ora, però, lo aspetta il processo. E un’accusa che, legge alla mano, sembra difficile da sostenere. Basterebbe citare il comma 2 dell’articolo 12 del cosiddetto Testo unico sull’immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998), in cui viene introdotta una clausola umanitaria: “Non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno, comunque presenti nel territorio dello Stato”.

Quindi, in teoria, il soccorso umanitario non è configurabile come reato, seppur prestato nei confronti di persone entrate “illegalmente” nel nostro Paese. Questa clausola è stata ribadita anche in una Direttiva del Consiglio dell’Unione europea del novembre 2002. Non l’ha eliminata nemmeno Matteo Salvini, quando era al Viminale, pur intervenendo sul tema nel primo dei suoi decreti sicurezza. “Se Andrea è colpevole, lo siamo tutte e tutti, ognuno di noi è un criminale”, dicono i volontari di Baobab. Oppure non lo è nessuno.