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di Alberto Cisterna

Il Riformista, 14 febbraio 2023

Rispetto alla drastica contrapposizione tra le forze politiche sul caso Cospito, ancora una volta è toccato ai magistrati ricercare con fatica un punto di equilibrio e di mediazione. Casi simili: Eluana Englaro e Dj Fabo. Il parere reso dalla Procura generale della Cassazione, ai suoi massimi livelli di rappresentanza a quanto si legge, spariglia le carte dell’affaire Cospito che per la verità sembrava incappato in una pericolosa stagnazione. Il ricovero in ospedale del detenuto, autorizzato in via d’urgenza dal ministro della Giustizia, ha infatti solo rinviato la soluzione del problema che è posto dalla perdurante intenzione dell’anarchico di proseguire nello sciopero della fame sino alla revoca del regime speciale ex 41-bis.

Si stanno addensando e accavallando un nugolo di questioni, l’una più ingarbugliata dell’altra, cui si aggiunge la richiesta al Comitato nazionale per la bioetica di un parere da parte del gabinetto del ministro Nordio per ricevere indicazioni circa la praticabilità di trattamenti nutrizionali forzosi, pur in presenza di una disposizione espressa del detenuto di rifiuto preventivo per il caso in cui subentrasse una condizione irreversibile di incapacità all’autodeterminazione. Una richiesta di parere che, ovviamente, indica l’intenzione di proseguire nella traiettoria dell’assoluta intransigenza e di non cedere alle richieste del detenuto e di prepararsi al peggio con le “carte a posto” ossia avendo fatto il possibile per evitare epiloghi drammatici.

Il parere reso dalla Procura generale della Cassazione - in vista dell’udienza fissata a giorni per decidere il ricorso proposto dall’imputato contro la decisione che ha confermato il regime detentivo duro - dischiude invece un orizzonte di valutazioni rimasto sinora in ombra. Rispetto all’accesso dibattito pubblico che registra la dura contrapposizione tra quanti si sono espressi per la revoca del decreto ministeriale (i molti intellettuali firmatari del manifesto favorevole almeno alla mitigazione della carcerazione) e la compagine governativa che ha rifiutato una tale soluzione solo poche ore or sono, il parere del Pg della Cassazione e della stessa Procura nazionale antiterrorismo aprono uno spiraglio importante. Una flebile luce in vista di una chiusura equilibrata del dossier che vede pericolosamente in ballo la vita di un detenuto. I massimi vertici requirenti e inquirenti del paese si sono espressi per una rivisitazione della posizione di Alfredo Cospito, per un verso, ritenendo non adeguatamente motivato il provvedimento del tribunale di sorveglianza che aveva confermato il decreto a firma del ministro Cartabia e, per altro, avendo segnalato l’adeguatezza del regime di “alta sicurezza” rafforzata che costituisce una via intermedia tra la detenzione ordinaria e quella speciale ora in atto.

Ci sarà modo di tornare su questo profilo della questione proprio con riferimento ai pericoli di interlocuzione dell’anarchico con la realtà terroristica esterna che la misura del 41-bis intende fronteggiare, ma per il momento non si può fare a meno di constatare che per l’ennesima volta, rispetto alla drastica contrapposizione tra le forze politiche e all’irriducibilità delle loro posizioni, sia toccato alla magistratura ricercare con fatica un punto di equilibrio e una mediazione. Un compito, certo, connaturale alla giurisdizione che è, per sua funzione, chiamata proprio a questo difficile rintraccio del punto di caduta più ragionevole del diritto e alla mitigazione dei suoi effetti più pregiudizievoli e severi.

Solo che questa volta l’intervento cade subito dopo che il ministero della Giustizia ha inteso riaffermare la linea di massimo rigore e ha chiuso ogni interlocuzione sui presupposti del carcere speciale irrogato a Cospito, così esaurendo l’ampia discrezionalità di cui dispone in questa materia. Il fatto che, dopo un paio di giorni dal provvedimento del ministro Nordio che ha negato la revoca del decreto, la Procura della Cassazione individui limiti e insufficienze nella motivazione dell’ordinanza del Tribunale della sorveglianza che ha convalidato l’irrogazione del 41 bis disposta dal precedente inquilino di via Arenula - costituisce obiettivamente un quid pluris rispetto alle ordinarie interlocuzioni giurisdizionali che ogni giorno occupano la Corte di piazza Cavour.

Questa volta il sindacato della giustizia penale tange un provvedimento dell’autorità governativa responsabile delle politiche carcerarie cui è rimessa la custodia, la vita e la salute dei detenuti e proprio in relazione a un caso in cui altissima è stata la tensione tra le forze politiche mostratesi incapaci di trovare una “terza via” tra la conferma del regime speciale e la sua semplice revoca. Una diatriba tutta politica e ideologica, avulsa in gran parte dalla concretezza del caso e dallo preoccupante scadere delle condizioni di salute di Cospito. Gli attentati e gli incidenti di piazza, in uno con il dibattito parlamentare che ha coinvolto esponenti di primo piano della maggioranza politica, non hanno certo giocato a favore di una scelta ponderata e si è, da parte di tutti, contribuito a rendere al calor bianco una disputa che per il solo fatto di avere in gioco la vita di una persona ristretta in carcere (e, quindi, interamente affidata allo Stato) avrebbe preteso lucido distacco e fredda valutazione.

È lo specchio fedele, peraltro, dei reali rapporti di forza tra la magistratura e la politica in Italia. La capacità e la forza degli apparati giudiziari italiani risiede tutta in questa straordinaria flessibilità nella risposta da dare alle emergenze del paese. Il frastagliato mondo che distingue e connota le toghe italiane tra loro fa sì che al proprio interno ci sia la capacità di modulare la discrezionalità penale a seconda della concreta sostanza delle questioni che vengono esaminate. Rispetto al giustizialismo radicale di alcuni, opera in contrappeso la postura sapienziale di altri; all’accondiscendenza populista di taluni, risponde la mite sorveglianza sulle regole di talaltri.

Un plesso inespugnabile per la politica che non dispone, purtroppo (ma non in ogni sua parte), di un’elaborazione e di una consapevolezza provviste della medesima densità e profondità. Il caso Cospito, come quello di DJ Fabo o di Eluana Englaro o di tanti altri, sembra destinato a passare ancora una volta per il setaccio fine della magistratura che mette all’angolo la politica per la propria straordinaria capacità di calare le norme sulla più incandescente delle questioni politiche e morali del paese e di performare la fluidità della materia ribollente con lo stampo della decisione.

Invocare in Cassazione l’annullamento con rinvio del provvedimento si erge oggettivamente anche a prudente ed equilibrato invito affinché si riveda la condizione di Cospito al gelido chiarore delle norme che consentono il carcere duro e la motivazione di questo parere sarà senz’altro in grado di dischiudere la porta a soluzioni che al momento la politica non è stata in grado di prospettare al paese.