sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giorgia Linardi

La Stampa, 10 agosto 2023

La “solita” strage annunciata. Venerdì pomeriggio Alarmphone segnalava almeno 20 barchini in pericolo e ne urgeva il soccorso in vista della nota tempesta in arrivo. La notte il sonno è stato interrotto più volte dal maestrale che sbattendo porte e finestre svegliava il pensiero per tutte quelle persone in balia del mare. E infatti puntuali sono arrivate le notizie dei naufragi al largo di Lampedusa, dove la Guardia Costiera ha salvato chi poteva in condizioni di mare avverse ma alle segnalazioni iniziali non sono seguiti interventi immediati, prima che la perturbazione si abbattesse sul Canale di Sicilia, sospendendo persino i collegamenti marittimi con le isole minori fino a martedì. Tre i naufragi noti fino a ieri. Almeno 44 dispersi e i corpi di una donna incinta e di una bambina che ricordano l’immagine recente della ragazza riversa a faccia in giù nella sabbia accanto a sua figlia, nel confine desertico tra Tunisia e Libia. Intorno un alone bagnato di sudore, tutto quello che gli era rimasto, simbolo della disidratazione che le ha portate alla morte. Prendere il mare è un tentativo di fuga da un Paese che ti deporta nel deserto a morire di stenti nel tuo sudore. Queste due coppie di madri e bambine sono il simbolo della sorte dei migranti neri a due settimane dall’accordo tra Tunisia e Unione europea, che non prevede alcuna alternativa incentivando anzi i respingimenti.

Chi cerca la sicurezza di avere acqua da bere per sé e la propria famiglia muore di sete nel deserto o annega nel mare. Intanto un’attivista che è riuscita ad avvicinarsi a un gruppo di persone deportate racconta di cadaveri ammassati accanto al gruppo di persone (ancora) vive, intrappolate tra forze tunisine e libiche che gli impediscono di muoversi. “I libici mettono lì vicino i corpi che trovano sulla frontiera”. Un’altra voce dal deserto chiede cure mediche: “Ci stanno mangiando gli scorpioni”. Come i rifugiati terrorizzati dai morsi di ratto nel Silos di Trieste. Condannati al limbo del confine. Di ieri la notizia di un quarto naufragio. Le immagini diffuse dall’aereo di Sea-Watch mostrano 4 persone sbracciare con non si sa quali forze residue, agitando un paio di piccoli salvagenti di fortuna che gli hanno salvato la vita, mentre gli altri 41 compagni di viaggio che non avevano nulla a cui aggrapparsi, o erano troppo piccoli o troppo deboli per farlo, sono andati a fondo.

Immagina. Partire da Sfax giovedì mattina su un guscio di metallo, (forse, stando alle ricostruzioni ancora in corso) subire l’attacco di predoni che rubano il motore, restare alla deriva e sentire salire il vento e il mare fino a far ribaltare la barca, lì morire in mezzo ai graffi di chi cerca di sopravvivere aggrappandosi a te (così funziona un naufragio). Oppure vivere, aggrappato a un galleggiante per ore, poi arrampicarsi su un barchino vuoto, probabilmente segno di un’altra sventurata partenza di questi giorni, aspettare per giorni, senza acqua né cibo e le onde ancora alte che spingono verso la Libia. Poi finalmente, ormai inaspettata, la salvezza. La ricostruzione è confusa, i sopravvissuti in stato di choc rischiano una condanna fino a 30 anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante dei 41 morti, secondo la modifica introdotta dalla legge Cutro. Sempre di ieri è la notizia di un soccorso da parte della Ong Louise Michel, a cui i sopravvissuti hanno raccontato di essere rimasti alla deriva per dieci giorni. All’arrivo dei soccorsi c’erano diverse persone in acqua: si stava consumando quello che sarebbe stato il quinto naufragio noto di questa settimana.

“Abbiamo contato 161 persone morte o disperse, siamo solo a mercoledì. E chissà di quanti non sapremo mai”. Parla Tamino Böhm, capo missione delle operazioni aeree di Sea-Watch. I prossimi giorni non sono rassicuranti e l’equipaggio di volo si prepara al peggio. “Mi aspetto di veder emergere cadaveri. Temo che dovremo riprendere ad assegnare un numero ai corpi che avvistiamo”. Alla domanda “come ti senti?” risponde: “La sensazione è di stare letteralmente volando su un cimitero, capisci?”. Questo davanti alle file di ombrelloni delle spiagge del Mediterraneo, dove si erge il filo spinato della fortezza Europa, che però non riesce a celare del tutto l’evidenza delle tragedie in mare. Ad oggi resta lettera morta la risoluzione approvata al Parlamento Ue che chiede una missione di soccorso europea nel Mediterraneo. Le persone nel Mediterraneo non si possono salvare tutte, ma si può almeno evitare di ignorarle, di condannarle a morte, si può e si deve fare di più.