di Gianluca Di Feo
La Repubblica, 19 gennaio 2023
“Nessun mafioso ammette reati al telefono”. Nel difendere davanti al Senato la volontà di limitare le intercettazioni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio è arrivato ad affermazioni paradossali e fuori dal tempo. Non si ricordano casi in cui qualcuno abbia ammesso reati al telefono, mafioso o meno: anche l’ultimo indagato per furto conosce la realtà della sorveglianza telefonica, centrale in dozzine di fiction tv. Se parla, lo fa in maniera allusiva. Questo però non significa che le intercettazioni abbiano perso importanza. Perché i boss e i loro fiancheggiatori hanno bisogno di comunicare. Magari usano le chat online: ad esempio Giuseppe Guttadauro, medico e capo del mandamento di Brancaccio, riteneva che Telegram fosse sicura. Oppure si confrontano tenendo i cellulari spenti o affrontando la conversazione solo in luoghi che reputano inviolabili.
Esistono però tecniche diverse di intercettazione, che hanno dato e continuano a fornire un enorme contributo alle inchieste. Anzitutto, le microspie e le microtelecamere, nascoste dagli investigatori nelle auto e nei possibili covi. Poi gli strumenti più moderni e invasivi, come i Trojan telematici che una volta inseriti negli smartphone e nei computer permettono di registrare, raccogliere dati e immagini anche quando i telefoni sono staccati. Senza dimenticare che qualsiasi cellulare lascia una traccia - i cosiddetti metadati - che consente di ricostruire movimenti e contatti.
Questi meccanismi di indagine raramente forniscono prove contro i boss ma permettono di mettere insieme le tante tessere di un mosaico da cui nascono incriminazioni e processi. È da queste attività investigative che - come ha dichiarato il comandante del Ros - si è arrivati a individuare la patologia di Matteo Messina Denaro. Microspie e Trojan si rivelano ancora più potenti se impiegati nei confronti degli imprenditori, dei professionisti e dei funzionari pubblici che contribuiscono agli affari e ai crimini delle cosche moderne: figure che spesso si ritengono insospettabili e quindi usano cautele minori ma che hanno permesso a mafiosi come il padrino trapanese di proseguire i traffici anche durante la latitanza.
Cosa nostra, camorra e ndrangheta sono consapevoli dell’evoluzione tecnologica della vigilanza. Non a caso, spesso fanno bonificare auto e case da specialisti nella caccia alle microspie. E cercano di munirsi di apparati ancora più sofisticati, come gli smartphone criptati che sono al centro di tutte le istruttorie più recenti condotte contro le famiglie del narcotraffico.
Il ministro Nordio sembra non essere consapevole di tutto ciò. E ha poi cercato di rettificare le sue dichiarazioni: “Quando si dice che i mafiosi non parlano al telefono alludo al fatto che nessun mafioso abbia espresso al telefono la volontà di delinquere o comunque pronunciato parole che costituiscano prova di un delitto in atto, in progressione o di un delitto programmato”. E questa affermazione forse è ancora più sorprendente. Perché le associazioni per delinquere di stampo mafioso non sono semplici bande che si uniscono per commettere un crimine, ma hanno caratteristiche diverse: gli affiliati possono venire condannati per mafia anche se non hanno mai commesso altri reati. È questo il punto di forza della nostra legislazione, entrato in vigore nel 1982 per volontà di un grande guardasigilli - Virginio Rognoni - che ha messo a frutto la lezione di Pio La Torre, parlamentare del Pci assassinato da Cosa Nostra.