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di Montesquieu

La Stampa, 7 agosto 2023

Si chiude una sessione parlamentare che lascia dietro di sé l’ormai abituale scia di mediocrità, di banalità, di rissosità. E di nostalgia, perché non dirlo? Si chiude con temi e dibattiti d’autore, perché nessuno si illuda sul domani. Gli ultimi fuochi hanno riguardato i temi dell’abbigliamento nelle Camere, delle ferie dei parlamentari, delle indennità.

I vitalizi, appena prima. E, per i populo-pauperisti sempre vigili, non conta la consapevolezza contingente del progressivo prosciugamento delle funzioni parlamentari, fino alla scomparsa delle stesse. Nemmeno per un sussulto di autovalutazione: no, è convinzione, quella che il lavoro parlamentare sia un lavoro di braccia, di straordinari, di quantità.

Si conclude, questa fase, con una aggressione a un galantuomo, tale Fassino, memore di ben altre stagioni, quelle della rappresentanza come responsabilità di deputati e senatori, vedi l’articolo 67 della Costituzione. Fuoco amico, per di più, il più sgradevole, del nuovo Pd: avrebbe parlato a titolo personale, guarda un po’. Il fuoco più doloroso, quello degli ormai presunti reduci costituzionali. Non dei populisti. Dileguata l’idea della rappresentanza che esaurisce il vero “lavoro” del parlamentare, la funzione. Non si computa con le ore passate sugli scranni, ma permea ogni respiro. Profila una relazione con l’elettore che la lettera della Costituzione ancora sembra pretendere, per come è fortunatamente ancora scritta. Epperò è malauguratamente seviziata. Tranciata, per le angherie trentennali che un manipolo cangiante di capi partito (anche qui, nulla di più lontano dall’art. 49 della Costituzione) riserva a rappresentati senza diritto di scelta, cooptando rappresentanti scelti con il titolo usurpato di una sovranità rapinata.

Si conclude una fase, con il concreto rischio che la prossima, o la immediatamente seguente, si rivendichino costituenti. I brividi, se solo si pensa che saranno gli stessi (quelli di ferie, vestiario, vitalizi, soldi) a decidere chi far eleggere direttamente dal popolo (sol che ricordino come si fa). E per fare che cosa. Magari al posto di Sergio Mattarella, o in competizione con la figura nostro Capo dello Stato. In Costituzione. E tutto il contorno. Obiettivo, rafforzare i poteri del governo rispetto a un Parlamento il cui potere legislativo è già integralmente nelle mani del governo, e non è un gioco di parole.

Non è importante quante leggi vengano scritte direttamente dal governo: non solo leggi a scadenza (decreti legge, manovre finanziarie, e altro), ma qualsiasi legge ordinaria può essere, a discrezione del governo, manufatta a Palazzo Chigi, lasciando che su di essa le Camere possano l’inchino con reverenza di un voto di fiducia. Perfino le leggi elettorali. Non occorre che gli onorevoli presidenti delle Camere leggano queste poche righe per sapere come stanno le cose. E nemmeno come porvi rimedio. Ci sarà tempo per riparlarne.