di Michela Marzano
La Stampa, 24 gennaio 2023
Da tre anni, la senatrice è sotto tutela a causa delle minacce ricevute. Non ha mai smesso di ricordarci la forza dell’onestà e della libertà. Lei, la conosciamo tutti. La senatrice Liliana Segre è una delle colonne portanti della memoria del nostro Paese: una grande donna di cui, in tante e tanti, siamo estremamente fieri, ma anche lo specchio di un momento particolarmente vergognoso della nostra storia. Loro, invece, li scopriamo via via: Marco Palmieri, Antonio Bianco, Riccardo Mallozzi e Giovanni Pansera sono le quattro guardie del corpo della senatrice, i suoi angeli custodi. Da ormai tre anni, questi quattro carabinieri seguono ovunque la senatrice Segre, ma ancora non riescono a capacitarsi di come sia possibile che una persona come lei, a 92 anni, sia costretta a vivere sotto protezione per le minacce che subisce ogni giorno e l’odio che le viene vomitato addosso. Sono loro, d’altronde, i veri protagonisti di Liliana siamo noi: storia di mille giorni con la scorta, un podcast di Rai Radio 1 scritto da Paolo Maggioni e Giancarlo Briguglia. In quattro episodi, il podcast racconta cosa significhi seguire la senatrice Segre quando si reca in piazza Safra, al Binario 21 - il luogo dove ebbe inizio l’orrore della Shoah a Milano e dal quale, tra il 1943 e il 1945, partirono venti convogli verso i campi della morte -, essere stati con lei quando, nell’ottobre dello scorso anno (che era poi anche il centenario della Marcia su Roma), Liliana Segre assicurò la presidenza del Senato nel corso della seduta che portò all’elezione di Ignazio La Russa, oppure anche, più semplicemente, cosa vuol dire vivere tanti momenti di intimità, di emozione e di gioia accanto a questa “donna luminosa”, come la definisce a un certo punto Antonio Bianco. La senatrice Segre non ha paura, non l’ha mai avuta, e il messaggio che vuole lasciare ai posteri è proprio questo: vi auguro di essere sempre liberi e senza paura. Nonostante poi si commuova quando, al Memoriale della Shoah, arriva di fronte al muro dei nomi e tra quei nomi, che sono sempre, e soprattutto, storie, persone e famiglie, mostra il nome del padre, forse ancora più importante del proprio: Alberto Segre, morto ad Auschwitz il 27 aprile 1944.
Vivere 24 ore su 24 con Liliana Segre, per i carabinieri della scorta, non significa solo compiere il proprio dovere: da quando la frequentano, hanno capito quanto coraggio e quanta determinazione ci vogliano per tornare sempre su quei dettagli, quelle sfumature, quei pezzi di mondo e quelle immagini che non sono davanti agli occhi di tutti, e che però rappresentano il nostro patrimonio comune.
Liliana Segre, la nostra storia, l’incarna. Ed è forse proprio per questo che entusiasma e impressiona, soprattutto i più giovani. La senatrice porta con sé, attraverso il proprio corpo, la propria voce e i propri ricordi, i segni di quella terribile indifferenza che rese possibile, anche in Italia, l’inimmaginabile; quell’indifferenza che continua a minacciarci, perché persino una vittima vuole avere una vita e rischia talvolta di lasciarsi distrarre, sebbene certe cose non finiscano mai, e non si dovrebbe mai smetterla di raccontare cosa succede quando trionfa l’odio, e alcune persone vengono perseguitate solo perché colpevoli di quell’unica cosa per la quale non c’è colpa: essere nate. “Liliana Segre è una personalità che va protetta per quello che rappresenta”, dice a un certo punto Marco Palmieri. E ha purtroppo ragione.
Ciò che spiega molta parte della violenza che si riversa contro la senatrice Segre è proprio l’insieme di tutto ciò che lei rappresenta ed è: la forza dell’onestà e il potere dell’amore, la voglia di vivere e il bisogno di essere liberi, e poi la necessità di proteggere, ancor più che sé stessi, i valori della Costituzione.