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di Francesco Cundari

linkiesta.it, 17 luglio 2023

Non trattandosi di una discussione seria, sia consentito avanzare una proposta altrettanto frivola, ma almeno logica: invece dell’ennesimo compromesso destinato a finire nel nulla, puntare al grande spariglio.

Lo scontro sulla giustizia, con l’Anm che denuncia il tentativo di delegittimare la magistratura e il Governo che accusa la magistratura di delegittimare la politica, non è certo una novità degli ultimi giorni. Non è una novità che il governo diffonda assurde teorie del complotto contro i pm (qui di nuovo c’è forse solo l’invenzione della nota anonima ufficiale) e non è una novità che la magistratura tenti di squalificare in partenza qualunque critica (come delegittimazione) e qualunque proposta di riforma (come attentato alla sua indipendenza), sebbene non vi siano in realtà né alcun complotto né alcuna riforma.

Il governo è ormai insediato da quasi un anno, ma interventi e obiettivi della presunta riforma continuano a cambiare regolarmente, da un’intervista all’altra, perché il vero scontro è, come sempre, uno scontro di potere. Ma anche sulla natura di questo scontro trentennale sarebbe ora di chiarire alcuni equivoci.

Il primo equivoco è che non c’è nessuna politicizzazione della magistratura, non è e non è mai stato questo il problema: c’è semplicemente il fatto che i magistrati, da Mani pulite in poi, anche grazie a un rapporto non limpido con la stampa, hanno acquisito un ruolo di preminenza sulla scena pubblica speculare al tracollo dei partiti e della politica (questi sì davvero e costantemente oggetto di un’opera incessante di delegittimazione, da parte di non pochi giornalisti e magistrati).

Questa posizione di forza ha anche un fondamento oggettivo nel tributo di sangue pagato dai magistrati nella lotta al terrorismo e alla mafia (sebbene alcuni martiri della lotta alla mafia, come Giovanni Falcone, siano stati anche i principali bersagli polemici di larga parte della magistratura associata, finché erano in vita). Sta di fatto che da trent’anni questo ruolo abnorme si traduce in una serie di vantaggi molto concreti, che non hanno nulla a che fare con logiche di schieramento e tanto meno con fumose ideologie.

Da un lato c’è la forza della corporazione nel difendere un assetto che, nato per garantire l’indipendenza della magistratura, sembra sconfinare spesso nell’irresponsabilità e nell’impunità, come dimostrano le luminose carriere compiute dai magistrati responsabili dei più clamorosi errori giudiziari.

Dall’altro ci sono i non pochi vantaggi per i singoli, perché ormai ci siamo abituati al fatto che i pubblici ministeri siano dei personaggi televisivi, costantemente intervistati da tv e giornali come sacerdoti delle supreme verità della politica e della vita. Anche sulla base di tale popolarità possono sempre contare su possibili carriere di ripiego nelle istituzioni e in ogni altro ambito della vita associata, candidati a tutti i livelli e da tutti i partiti, dall’estrema sinistra all’estrema destra, a riprova dell’assoluta trasversalità del problema.

Anzi, la prima obiezione che si dovrebbe fare alla destra, semmai, è proprio questa: che se davvero volesse mettere un freno alla politicizzazione della magistratura, potrebbe cominciare smettendo di affidare a magistrati ruoli politici di primo piano, come candidati alle elezioni locali e nazionali, come sottosegretari e come ministri della Giustizia.

Date queste premesse, c’è insomma da attendersi che anche stavolta tutto si risolverà in interventi parziali, di scarso o nessun effetto pratico. Da qualche parte si scriverà che il ricorso alle intercettazioni o alla custodia cautelare è consentito in situazioni non solo gravi ma gravissime, dopodiché pubblici ministeri e giudici troveranno tali situazioni sempre più spesso gravissime anziché gravi; da qualche altra parte si scriverà che sui giornali devono pubblicarsi solo i particolari di strettissima, e non più solo stretta, rilevanza penale, dopodiché giornalisti e conduttori televisivi troveranno che in tutti i particolari tale rilevanza sia più stretta che mai, e continueranno a farceli sapere in abbondanza.

Non trattandosi di una discussione seria, sia quindi consentito concludere con una proposta altrettanto frivola, e più che mai inverosimile, ma almeno logica (del perché logica e verosimiglianza tendano sempre più spesso a escludersi reciprocamente, quando si tratta di politica, magari parliamo un’altra volta).

La proposta è semplice: Giorgia Meloni promuova subito il ministro Carlo Nordio a qualche importante incarico internazionale (del resto si parla ogni giorno di sue possibili dimissioni) e offra il posto a Matteo Renzi. Invece dell’ennesima bicamerale destinata a finire nel nulla, delegittimata preventivamente dalle campagne sul grande “inciucio” tra destra e sinistra, Meloni e Renzi facciano direttamente il passo successivo. Renzi potrà così guadagnarsi sul campo quel ruolo di erede politico di Silvio Berlusconi che un tempo gli è stato attribuito come una scomunica, ma oggi sembra tentarlo sul serio; mentre Meloni otterrà non solo una riforma della giustizia di sicuro più incisiva di quella che avrebbe avuto altrimenti, ma riuscirà al tempo stesso a produrre l’impazzimento definitivo delle opposizioni. Oppure, semplicemente, si rassegni a non farne niente, abbassi i toni e ci risparmi la centesima replica del solito balletto.