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di Davide Manlio Ruffolo

La Notizia, 23 febbraio 2024

Sovraffollamento, condizioni di vita impossibili e morti in carcere che sono ormai un’emergenza nazionale. Sembra che gli italiani che in queste ore stanno chiedono di introdurre nell’ordinamento giudiziario la pena di morte non si siano accorti che quest’ultima, di fatto, fa già parte del nostro Paese. Già perché suicidi e decessi sono ben più frequenti di quanto si pensi, con gli ultimi casi che sono avvenuti nel penitenziario romano di Rebibbia dove, nel volgere di nemmeno 24 ore, sono morti due detenuti malati da tempo.

Il primo caso ha riguardato un 66enne, diabetico e cardiopatico, che è venuto a mancare la notte tra il lunedì e martedì mentre il secondo, avvenuto soltanto poche ore dopo, ha riguardato un 77enne affetto da polmonite e da insufficienza renale che, proveniente dallo stesso carcere in cui era recluso al 41bis, era stato ricoverato da oltre un mese nel disperato tentativo di salvargli la vita. Fatti che hanno spinto il Garante delle persone private della libertà del Lazio, Stefano Anastasia, a denunciare “l’incompatibilità della detenzione con le malattie gravi, che non possono essere adeguatamente curate in carcere” e a chiedere un incontro urgente con i dirigenti della Asl per accertare lo stato dei servizi sanitari interni all’istituto.

Fatti per i quali la deputata Pd Michela Di Biase, componente della commissione Giustizia, ha già fatto sapere che con “due detenuti morti nel giro di poche ore a Roma, ormai siamo oltre l’emergenza. È una situazione insostenibile sulla quale il Governo continua ad essere assente” e per questo ha annunciato che depositerà “un’interrogazione urgente al Ministro Nordio per andare a fondo sulle ragioni di questi ultimi due decessi” e sulle condizioni delle carceri in generale.

Del resto è evidente che questi ultimi decessi oltre a fare male, dimostrano - qualora ce ne fosse ancora bisogno - che la condizione delle carceri italiane è già da tempo oltre il punto di non ritorno. A testimoniare quello che è un fenomeno indegno per un Paese che si vuole definire `civile’ e che purtroppo sembra costantemente in crescita, sono i freddi numeri. Come riporta in un corposo dossier il sito specializzato www.ristretti.it, nel 2023 i decessi sono stati complessivamente 157 di cui 69 per suicidio e 88 per altre cause tra cui l’assistenza sanitaria disastrata, le morti per cause non chiare e, purtroppo, i decessi causati da overdose.

Quest’anno le cose non sembrano affatto migliorare visto che, in nemmeno due mesi, il report segnala che sono stati registrasti già 20 suicidi, di cui uno all’interno del Centro per il rimpatrio di Roma, e 24 decessi dovuti ad altre cause. Si tratta di poco meno di una morte in cella al giorno che se questo trend dovesse continuare allo stesso ritmo fino alla fine dell’anno, porterebbero il totale alla stratosferica cifra di oltre 400 morti.

Particolarmente indicativi di cosa sta succedendo nei penitenziari italiani, dove si muore a causa dell’incapacità della politica di migliorare la situazione, sono i dati forniti, a inizio settimana durante un’audizione alla Commissione giustizia della Camera, dal capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap), Giovanni Russo, che aveva spiegato come “in 10 sui 19 casi di suicidi avvenuti fin qui si trattava di detenuti in fase di custodia cautelare, altri sette erano condannati in via definitiva, uno aveva fatto ricorso in appello, altri tre erano stati condannati in primo o secondo grado”.