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di Maurizio Maggiani

La Stampa, 16 ottobre 2023

Sono passati sette giorni e un po’ di tempo per pensare ce l’ho avuto, ma non ho pensato niente, niente di niente che non fossero domande, domande per me e domande per chi ne sa più di me, per chi la sa lunga, per chi sa inorridire in pubblico nel modo corretto, per quelli che sanno fare il punto, e hanno già detto e scritto tutto. Ho domande, e lo so bene che non è questo il momento ideale per le domande, ma del resto chi mai si ricorda che ci sia stato un buon momento?

E allora. Ma davvero pensate che sia accaduto l’impensabile? Ma davvero fino a sabato scorso, dandoci un’occhiata di tanto in tanto, vi siete fatti l’idea che laggiù ci sarebbe stato un limite e quel limite era stabilito dalla superiorità militare e morale dello Stato di Israele? Possiamo porre un limite a molto, è il compito degli Stati e il dovere delle coscienze, ma dov’è il limite della vendetta, della rabbia, dell’odio, del delirio paranoico, padre, madre, figlio e spirito santo dell’orrore? Sento dire, ma non fino a questo punto; infatti c’è e ci sarà qualcosa anche oltre questo punto. Non è una profezia, è un ripassino della storia umana, e potete lasciar stare gli animali che non c’entrano niente, è una faccenda tutta nostra. E lasciamo stare anche il male assoluto, ho sentito troppe volte assegnarlo questo ambito riconoscimento, e l’assoluto è uno solo e non intercambiabile, e non è di questo mondo. A questo mondo basta il male corrente che sappiamo generare nel corso della storia fatta con le nostre mani, e siccome la storia non ha fine se non nella fine dell’umanità, anche il male e il suo orrore non ne avrà, a meno che non si cambi la storia e l’umanità. Ci sono stati e ancora perseverano nel provarci uomini a cui ogni tanto diamo il premio Nobel per la pace, un premio di consolazione direi, capita sempre più spesso che siano o finiscano in galera, o eliminati alla prima occasione. Sembra che la pace non sia di questo mondo, sarà mai possibile cambiarlo il mondo? O meglio, ci sono idee al riguardo?

Hamas invece di questo mondo lo è. Non è il motore immobile dell’assoluto, ha una storia, come l’Isis, la bomba atomica, o, se preferiamo, come il colera. Può servire conoscere la sua storia? O, come ho letto, non è più il caso di contestualizzare al cospetto di tanto male? Se è così, se possiamo fare a meno della storia, allora cosa ci resta per comprendere e per agire? L’emozione? La rabbia? La forza pura e semplice capace di forzare i destini? È questo il mandato che ci assegniamo per confermare la superiorità del sistema liberaldemocratico? La storia di Hamas è disponibile da fonti storiche ampiamente accreditate, vale o no la pena di darci un’occhiata prima di entrare in uno studio televisivo? No, se è giunto il momento che non c’è più niente da capire.

Hamas non ha dichiarato guerra, sanno usare anche le parole, ma vendetta, rabbiosa, schifosa vendetta, Israele ha dichiarato guerra ma vediamo che ciò che intende e attua è vendetta, sappiamo pensare che anche se sarà rabbiosa non sarà schifosa, ma comunque sacrosanta vendetta agli occhi nostri, di noi che fondiamo la nostra civiltà sulle radici cristiane.

Non so dire cosa rimane della predicazione del Cristo tra noi che non possiamo non dirci cristiani, ha chiesto talmente tanto la sua parola che neppure i rari tra noi di lindo pensiero e ferma intenzione possono sentirsi esenti dal disarmante, forse ha chiesto troppo. Ha chiesto perfino di amare i nostri nemici, ha bandito e dannato la vendetta. Dura da buttare giù, per noi che d’altronde non possiamo rinunciare alle nostre radici latine, e il vindex nel diritto romano è il garante di fronte alla legge, colui che ristabilisce l’ordine e la giustizia. Per noi che ci godiamo il privilegio di vivere nelle sciocchezze riusciamo a covare vendetta anche solo per una sciocchezza, e la chiamiamo sete di giustizia, e ci sembra una cosa talmente ovvia da apparirci naturale. Era un profeta pazzo di santità il Cristo, il primo tra i buonisti da strapazzo, o c’è addirittura ragionevolezza nella dannazione della vendetta?

La storia universale delle nostre gesta ci dice che non c’è un limite alla vendetta e mai una fine, e se è alla vendetta che assegniamo il compito della giustizia, non ci sarà mai giustizia. L’antica legge pensava di stabilirne il limite in occhio per occhio dente per dente. Bene, e allora che facciamo, il conto dei morti, i miei morti e i tuoi, i nostri figli e i loro figli? Davvero vogliamo farlo? Ma allora da quando iniziamo la conta? Questo orrore su Israele è la vendetta per la vendetta della vendetta per la vendetta del primo torto. Ogni film ha il suo primo fotogramma, quello di questo film dell’orrore dove lo andiamo a cercare? Riteniamo forse immotivata e capziosa la pretesa del popolo palestinese, non di Hamas, ma del popolo che tiene sotto assedio politico e militare, di ritenere un torto la Nakba, la catastrofe, l’esodo forzato, scusate l’eufemismo, dalle loro case, il divieto di tornarci e la confisca delle loro terre dopo la guerra civile del ‘48? Possiamo ritenerlo un torto inflitto dal mondo intero ignorare che la risoluzione Onu 181 del 1947 divideva il territorio palestinese in due Stati di eguale estensione, uno è Israele e l’altro non ha mai avuto luce. Perché? Perché lo si è impedito in tutti i modi o forse perché i palestinesi sono animali incapaci di darsi un ordine statuale e immeritevoli di avere una loro terra, ma solo un recinto dove grufolare e ululare?

Tutto questo è solo acqua passata? Possiamo negarla la storia, ma la storia resiste, implacabile. Hamas non esisteva finché Gaza era sotto controllo egiziano, Nasser sapeva bene come fosse un pericolo innanzitutto per sé stesso. Fu lo Stato di Israele, dopo l’occupazione del ‘67, a riconoscerla come associazione legale e a servirsene per disgregare il laico movimento di liberazione palestinese, e infatti l’operazione ha avuto successo, oggi l’Olp non conta più nulla, è Hamas a dettare legge a Gaza, e vediamo cosa intenda per legge. Al tempo a Israele pareva una buona idea, pensava di poter controllare la bestia, e in questo ha fallito, tragicamente. Anche gli accordi di Monaco del ‘38 sembrarono una buona idea alle democrazie di Francia e Inghilterra, convinti di saper contenere la bestia, e abbiamo visto. Probabilmente domani Gaza sarà spazzata via, ma non Hamas, Hamas prospera nelle macerie e sui cadaveri del popolo palestinese, e prospera nell’attesa di nuova vendetta. Hamas ha bisogno di Bibi Netanyahu più del pane e dell’acqua, e non credo di delirare se penso che Netanyahu ha avuto bisogno di Hamas come del pane per restare se non altro fino ad oggi lì dov’è.

Va molto in questi giorni l’invito a voler bene a Israele e la conseguente lista di chi gli vuol male. Ogni domanda, ogni questione posta da me qui, riga per riga, è stata espressa in questi giorni da intellettuali, attivisti politici, soldati riservisti e ufficiali in carica di nazionalità e servizio israeliano, tutta gente che vuol bene a Israele e ama il suo Paese. Chi invece non le vuole bene è il cancelliere tedesco Scholz quando dichiara che dopo l’Olocausto staremo con Israele per sempre. Il che significa che per il cancelliere, Israele non è che un risarcimento per il male irrisarcibile perpetrato nel cuore d’Europa, un lavacro di coscienza praticamente a gratis, visto che è stato fatto gravare sulle spalle degli altri, e siccome è gratis lo praticano con vigore tutti quelli, qua e là per il mondo, che hanno necessità di far dimenticare una storia di antisemitismo e collusioni. Israele non è questo, ancora ben prima della Shoah Israele è stata un’utopia a cui si è dato un corpo, una rarità nella storia di tutti i tempi. Ma le utopie, e lo dice un incallito utopista, sono molto delicate da maneggiare, e il pericolo maggiore in cui incorrono è di trasformarsi in distopie. Forse volerle bene è aiutarla perché ciò non accada.