di Vladimiro Zagrebelsky
La Stampa, 2 aprile 2023
Mentre modi e tempi di intervento per la tutela dell’ambiente e per la lotta al riscaldamento globale sono al centro del dibattito sociale e di quello strettamente politico, più di un segnale indica che anche su questi temi emerge la ricerca dell’intervento dei giudici. Un intervento che si vuole non politico, non ostante che pochi problemi siano più politici di questi.
Grandi questioni infatti si contrappongono e chiedono equilibrio e proporzione, come quelle che riguardano la transizione verso nuove tecniche e modalità di produzione, lasciando quelle presenti, inquinanti. Il passaggio alle auto elettriche ne è un esempio, ma la produzione agricola e l’uso dei prodotti chimici ne sono un altro, persino più urgente.
Le soluzioni possibili promuovono o invece colpiscono interessi notevoli di gruppi sociali (e Paesi) diversi. Anche una volta trovata la soluzione adatta all’uno o all’altro aspetto di queste questioni, resta sempre delicata la definizione dei tempi e della protezione delle aree territoriali e dei lavoratori che finiscono marginalizzati. Questioni altamente conflittuali, non ostante l’apparente vasto consenso in favore di politiche ambientaliste e l’allarme diffuso per le implicazioni che riguarderanno le generazioni future.
È recente, ad esempio, il grande successo elettorale ottenuto in Olanda dal partito BBB, definito “agro-populista”, contrario alla politica verde del governo. Tutto ciò è per definizione politico, sia per quel che riguarda i criteri decisionali, sia per il tipo di responsabilità che assumono i decisori. Eppure, è recentissima la decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ove siedono i rappresentanti dei governi, di chiedere alla Corte Internazionale di Giustizia di fornire il suo avviso sugli obblighi degli Stati per contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti. All’avviso che la Corte renderà è assegnato un gran peso morale, essendo però privo di effetti giuridici vincolanti.
Negli stessi giorni la Corte europea dei diritti umani ha tenuto una udienza riguardante due ricorsi nella stessa materia. Con il primo, contro la Francia, si sostiene che i ritardi e le omissioni del governo nel prendere le misure necessarie per diminuire le emissioni ad effetto serra e raggiungere i limiti già fissati, comportano rischi per la vita del ricorrente e offendono il suo diritto al rispetto della vita privata ed anche della possibilità di usare normalmente il suo domicilio. Il secondo ricorso, contro la Svizzera, è stato presentato da un’associazione ambientalista i cui soci sono persone anziane, che sostengono che per le ondate di calore e per l’inerzia del governo nel contrastare il riscaldamento globale rischiano la vita e comunque patiscono nella loro vita privata.
Sia il diritto alla vita, che il diritto alla vita privata sono riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti umani. Se la Corte riconoscesse il fondamento dei due ricorsi potrebbe, non solo dichiarare la violazione della Convenzione e stabilire un indennizzo a favore dei ricorrenti, ma anche indicare ai governi quali misure siano da adottare.
In Italia, per anni nella vicenda dell’ILVA abbiamo visto contrapporsi le logiche giudiziarie fondate sulla applicazione della legge che protegge la salute delle persone e quella politica ne che affronta le ricadute sul piano dell’economia e della occupazione. E il legislatore - non si sa quanto consapevolmente - ha riconosciuto alla magistratura un nuovo e indiscutibile campo di azione di grande impatto economico e politico. Avendo aggiunto all’art. 9 della Costituzione l’obbligo per la Repubblica di tutelare “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, la applicazione che i giudici faranno delle leggi sarà doverosamente “costituzionalmente orientata”. Talora con maggior protezione dell’ambiente, ma certo con scelte di indubbio carattere e conseguenze politiche.
Nella loro diversità - se non altro per la natura diversa dei giudici coinvolti - i fatti esposti hanno tratti comuni. Intanto malgrado le frequenti proteste per il protagonismo dei giudici e la loro politicizzazione, in nessuno di questi casi sono i giudici ad aver cercato l’occasione di esprimersi. Ricerca politica di appoggi che sollevino dalla responsabilità di decidere o fiducia in logiche diverse da quelle proprie della politica spingono a cercare l’opera dei giudici, siano essi internazionali o nazionali. Uno dei tanti esempi della debolezza e inettitudine dei luoghi deputati all’azione politica: anche quella dei parlamenti, sede diretta di espressione della sovranità del popolo.