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di Paolo Comi

Il Riformista, 26 agosto 2022

Sono 700 i magistrati delle Corti di appello che rischiano di essere costretti a cambiare lavoro se dovesse passare la legge sull’inappellabilità delle sentenze di assoluzione. “In tanti non sarebbero entusiasti di andare a svolgere funzioni assai più onerose e meno prestigiose di quelle alle quali sono abituati”, ammette un autorevole esponente dell’ordine giudiziario. Vediamo come stanno le cose.

In Senato giace dallo scorso gennaio un disegno di legge, il numero 2499, primo firmatario il senatore di Forza Italia Franco Dal Mas, che permetterebbe di risolvere i principali problemi che affliggono la giustizia italiana, ad iniziare dalla durata dei processi. Si tratta della riforma del codice di procedura penale “in materia di impugnazione delle sentenze”, tema tornato di attualità nei giorni scorsi grazie ad una ‘clip’ elettorale di Silvio Berlusconi.

La riforma consiste nella soppressione del comma due dell’articolo 593: “Il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di proscioglimento”. Una modifica molto semplice che, però, non ha mai trovato spazio per essere discussa in Parlamento in questi mesi, prima che cadesse il governo Draghi. Gli oppositori, M5s e a ruota il Pd, con la ‘supervisione’ della parte più agguerrita dell’Anm, hanno fatto le barricate sostenendo che quando nel 2006 venne approvato un provvedimento analogo, la legge Pecorella (che nel suo punto nodale escludeva la possibilità per il pm di appellare le sentenze di proscioglimento, salvo l’emergere di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, ndr), era poi intervenuta la Consulta, con la sentenza numero 26 del 2007, dichiarandone l’incostituzionalità, in quanto negazione del principio di parità delle parti.

“Sono trascorsi 15 anni da quella sentenza e niente vieta al Parlamento di riconsiderare il problema”, aveva allora risposto Dal Mas. Anche perché nel frattempo la Consulta, con la sentenza numero 34 del 2020, aveva definito il potere di impugnazione da parte del pm “più cedevole rispetto a quello dell’imputato”. Inoltre, l’anno successivo, nella relazione Lattanzi che aveva accompagnato la legge delega sulla riforma del processo penale, quale suggerimento per il nuovo processo penale era stata prevista esplicitamente “l’inappellabilità delle sentenze di condanna e di proscioglimento da parte del pm”.

Secondo l’ex presidente della Corte Costituzionale, “l’indisponibilità per il pm di un rimedio finalizzato a ottenere un nuovo giudizio di fatto in sede di appello discende, dallo standard dell’oltre ogni ragionevole dubbio, che promana dall’articolo 27 della Costituzione e rende inconcepibile sul piano logico il raggiungimento della certezza processuale dopo un giudizio di proscioglimento, se non in presenza di vizi di motivazione che escludano la riproponibilità della valutazione alternativa e a seguito di una articolata e problematica rinnovazione istruttoria”. L’Italia, invece, prevedendo che il pm possa impugnare le sentenze di assoluzione, ‘viola’ la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, norme le quali prevedono che la persona condannata per un reato abbia diritto a che l’accertamento di colpevolezza sia esaminato da un tribunale superiore o di seconda istanza. Diritto riconosciuto solo all’imputato e non all’accusa.

Attualmente più della metà, circa il 60 percento, dei procedimenti penali si conclude con un provvedimento di archiviazione in primo grado. Se al pm fosse precluso di appellare le sentenze, il campo si restringerebbe di molto, con una conseguenza pratica: meno lavoro per le Procure generali e per le Corti d’appello. Uffici i cui organici potrebbero essere rivisti, destinando i magistrati in esubero ai tribunali dove si concentrano le scoperture e dove non si riescono a fare i processi.

“Riconsiderata l’obbligatorietà dell’azione penale, avremmo una naturale riduzione del numero dei processi, che non significa impunità ma concentrazione ed efficientamento dell’attività delle Procure con significative ricadute sulla riduzione dei tempi processuali”, aveva infatti ricordato Dal Mas, che è stato ora ricaricandidato in posizione non facile in Friuli.

“Sono argomenti che sembrano di nicchia, eppure interessano tutti i cittadini, perché tutti potremmo trovarci un giorno in queste circostanze. Nonostante le levate di scudi che ci sono state, sono certo che questi temi saranno inseriti nell’agenda politica del centrodestra e del prossimo governo”. Per la cronaca la proposta di riforma era stata firmata anche da Lega ed Italia Viva con Giuseppe Cucca.