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di Alessandro Trocino

Corriere della Sera, 12 maggio 2022

Lei è Flavia Filippi, cronista giudiziaria di La7. Il suo progetto si chiama “Seconda Chance” e si propone di rendere più operativa la Legge Smuraglia del 2000 che offre agevolazioni a chi assume detenuti. “Se riesco a farli incontrare la diffidenza svanisce”.

“Entro nei ristoranti, nei bar, nei centri sportivi, contatto le aziende, i commercianti. La maggior parte nemmeno mi risponde. Quando riesco a parlargli, ne convinco uno su 50. Ma se riesco a prenderli per mano per portarli con me in carcere, sento che è fatta. A quel punto non è mai successo che dicano di no. Al contrario: se ne volevano uno, ne prendono due”.

Flavia Filippi è un fiume in piena. Da quando ha lanciato il suo progetto “Seconda Chance”, si dedica anima e corpo a un’idea meravigliosa, compatibilmente con il suo lavoro di cronista giudiziaria a La7. Idea banale e spettacolare, dare una seconda opportunità a chi ha sbagliato, sfruttare la buona volontà del legislatore, che ha previsto in alcuni casi il lavoro all’esterno, e sfondare il muro di gomma della burocrazia pubblica e della diffidenza privata. Riassumendo: la Legge Smuraglia del 2000 offre sgravi fiscali e contributivi a chi assume detenuti. Se assunti, anche a tempo determinato, escono dal carcere di giorno per lavorare e tornano di notte. Guadagnano. Si rifanno una vita. Si reinseriscono nella società. Si preparano a tornare a vivere.

Sedici mesi fa, mentre noi ci lamentavamo per il lockdown e lanciavamo alti lai sull’inutilità della vita moderna e su quanto eravamo sfortunati a non potere andare a cena fuori, Flavia cercava il garante dei detenuti di Roma, Gabriella Stramaccioni - “la regina delle carceri della Capitale, mia musa ispiratrice” - ed elaborava la sua idea. “La stimavo da sempre e mi sono sempre interessata al mondo penitenziario. Ho chiesto a Gabriella: cosa posso fare per aiutare?”.

A proposito, quand’è l’ultima volta che l’abbiamo chiesto noi? Comunque, la Stramaccioni introduce Flavia al provveditore alle carceri di Lazio, Abruzzo e Molise. E comincia la collaborazione, soprattutto con il nuovo complesso di Rebibbia (1450 detenuti), guidato da Rosella Santoro, e con il carcere di Velletri e non solo.

Funziona così: “Mettiamo che un ristoratore voglia assumere un aiuto cuoco per tre mesi o un anno usando la Legge Smuraglia per gli sgravi. Io mando la visura camerale della società a Rebibbia, per le verifiche. Si fanno accertamenti sulla serietà dell’azienda. Poi, con il carcere organizziamo un appuntamento.

Io, l’ispettore Cinzia Silvano e gli educatori coordinati da Giuseppina Boi facciamo i colloqui con i detenuti selezionati a seconda delle esigenze dell’imprenditore”. Per quali reati sono detenuti i candidati? “Non ci sono preclusioni. Possono essere semplici ladri o narcotrafficanti o condannati per altro. L’imprenditore al momento del colloquio non conosce il reato, in modo che non ne sia influenzato. Solo alla fine, si apre il computer e viene raccontata la storia giudiziaria del candidato”. A quel punto, dopo qualche ora o qualche giorno di riflessione, l’imprenditore (non solo ristoratori, ma anche agricoli, edili, grafici) sceglie la persona o le persone che ritiene idonee (alcuni ne hanno scelti anche sei). E invia una richiesta di assunzione.

La decisione finale è del Tribunale di sorveglianza. Se c’è il via libera, vengono stabiliti i percorsi che dovrà fare il detenuto e accordata la permanenza fuori per gli orari concordati con il datore di lavoro. L’imprenditore stipula un contratto con l’amministrazione penitenziaria. Viene tracciato il percorso che il detenuto dovrà fare con i mezzi pubblici, gli viene assegnato un cellulare per la reperibilità, che deve essere consegnato ogni sera, quando il detenuto torna al padiglione Venere del reparto G8 di Rebibbia, che ospita le persone che lavorano all’esterno.

La Filippi ha cominciato in sordina, poi ha dato un po’ di risonanza sui social ed è stata travolta dalle richieste. Gli esempi virtuosi sono a decine. A Roma e nel Lazio sono molti i ristoranti che hanno stanno assumendo detenuti: Le Serre by Vivi Bistrot, Porto (sei locali), Fassi Casa del Freddo, gruppo Palombini, Mediterraneo Al Maxi, Argileto a Monti, l’Antica pizzeria da Michele. E poi i centri sportivi Empire e Babel, il parco nazionale del Circeo, il centro grafico Pioda Imaging, Botw che organizza eventi e concerti.

“La svolta è arrivata - racconta Flavia - quando l’Istituto superiore di Sanità, grazie al direttore generale Andrea Piccioli, ha assunto tre detenuti, con pene anche pesanti. Stanno in falegnameria ma svolgono anche tante altre attività. In queste settimane riparano la sirena che diede l’allarme prima del bombardamento di San Lorenzo del 1943”. Poi è stata una piccola, silenziosa, valanga. E tra i tanti che hanno aderito a Seconda Chance ci sono Terna, Cnr, Croce Rossa, Associazione nazionale costruttori edili, Anbi Lazio, Orienta Agenzia per il lavoro. Molti imprenditori, anche di fuori regioni, stanno contattando Flavia. Tra chi fa più fatica ci sono le grandi aziende, le multinazionali. “Ma forse è perché non ho un contatto diretto. Spesso mi tocca partire dal centralino e passano mesi prima che riesca a sedermi di fronte alla persona giusta. Quando però ci arrivo so che ho buone possibilità di convincerle”.

E chi ha detto no? “Mi sono riproposta di non parlarne. Ho tratto insegnamento da una signora del mio quartiere che continua a mettere piantine per abbellire la zona e continuano a rubargliele. Lei le ricompra e dice a tutti: forza Balduina, che sei bellissima. Ecco, questa nobiltà d’animo mi ha fatto pensare che bisognerebbe sempre fare così”. Ci sarà sempre chi pensa sia ingiusto aiutare chi delinque. Chi sfodera il solito argomento penoso: non c’è lavoro per la gente per bene e facciamo lavorare i detenuti?

A parte il fatto che di lavoratori ne servono anche molti (vedi crisi per cuochi e camerieri), il tasso di recidiva di chi lavora si abbassa drasticamente, insieme al tasso di sovraffollamento (intollerabilmente alto, in Italia). Alla società conviene recuperare alla vita civile chi ne è stato escluso: economicamente e moralmente. “Non siamo noi a dover giudicare - spiega Filippi - Ci sono persone che hanno sbagliato, stanno pagando per il loro errore e sono pronte a ricominciare. Persone che sono in carcere da innocenti. Brave persone finite in una storia più grande di loro”.

E se, una volta assunti, tornano a delinquere? “Guardi, una volta uno mi ha detto: il nostro è un ristorante di classe e perbene, non vogliamo criminali. Poi mi hanno raccontato di avere assunto una ragazza, non detenuta. Pochi mesi dopo l’hanno sorpresa che rubava i soldi dalla cassa”.

E noi come possiamo fare per aiutare? Proviamo a parlarne, intanto. Le liste di attesa per i colloqui tra aziende e detenute cominciano ad allungarsi, gli educatori, gli agenti di polizia penitenziaria e i magistrati di sorveglianza sono impegnati al massimo. In Italia, talvolta, fatta la norma, ci si mette a posto la coscienza e non la si applica. La Smuraglia è una grande legge, ma servono due condizioni perché venga applicata pienamente. La prima è la disponibilità degli imprenditori (e a quello provvedono la Filippi e gli altri volontari in tutta Italia, in carenza di organi dello Stato). La seconda sono le risorse pubbliche, in termini di agenti, educatori e magistrati. L’amministrazione ce la mette tutta ed è encomiabile lo sforzo che sta facendo. Se tutto funzionasse al massimo delle possibilità, il risultato avrebbe un impatto positivo enorme, di gran lunga superiore all’esborso economico.