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di Paolo Russo

La Stampa, 17 marzo 2024

L’ultimo a togliersi la vita dietro le sbarre è stato il rapper Jordan Jaffrey Baby. Prima di lui c’è Fakhri Marouane che si è dato fuoco nel carcere di Pescara dopo aver denunciato le violenze brutali subite dietro le sbarre di Santa Maria Capua a Vetere. E poi ancora Ibrahim Ndiagne, Rodolfo Hilic, Davide Bartoli, G.Z., F.A., C.S. e F.L. Sigle che proteggono il nome di detenuti italiani suicidi. Dall’inizio di quest’anno al 15 marzo nei nostri istituti di pena se ne contano già 25. Un andamento ben più drammatico del già triste record del 2022 di 84 suicidi, uno ogni 5 giorni, venti volte tanto quelli che si verificano tra chi vive in libertà.

Dostoevskij diceva che il grado di civiltà di una nazione si misura entrando nelle sue prigioni. E noi, saremo pure la patria di Beccaria, ma le nostre carceri assomigliano sempre più a luoghi di supplizio che di pena. Perché un minimo di assistenza psichiatrica la si riesce a dare appena allo 0,38% di chi ha un disturbo mentale molto grave, come quello bipolare o la schizofrenia. Mali che a volte si portano da fuori. Ma che più spesso sopravvengono dietro le sbarre, dove si sta ammassati come animali da batteria. Gli ultimi dati indicano un tasso di sovraffollamento del 112%, che in certi penitenziari supera il 150, con picchi del 190% e oltre a Latina e al San Vittore di Milano.

In queste condizioni non c’è poi da stupirsi se l’equilibrio mentale finisca per saltare. Secondo l’ultimo “Rapporto Antigone” il 9,2% dei nostri 65mila detenuti soffre di disturbi psichici molto gravi, il 12,4% delle donne che vivono dietro le sbarre. Ma il problema è molto più esteso, tanto che il 20% assume stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e anti depressivi, mentre il 40,3% fa uso di sedativi e ipnotici.

“Abbiamo detenuti con patologie pregresse che le condizioni carcerarie peggiorano e che se non monitorati possono essere a rischio suicidario”, spiega il professor Massimo Clerici della Società Italiana psichiatria e psichiatra presso la casa circondariale di Monza. “Poi ci sono i soggetti più gravi, spesso autori di omicidi o anche efferati pluriomicidi, psicopatici o serial killer. Si tratta di persone pericolose, che in Italia sono spesso collocate in isolamento e che non accedono a percorsi di cura continuativi e a terapie cognitivo-comportamentale, che potrebbero aumentare le capacità di autocontrollo”. Quello che sicuramente non ha avuto Domenico Livrieri quando a ottobre ha fatto a pezzi la sua vicina di casa e che se non ci fossero state liste di attesa infinite sarebbe dovuto stare in una Rems, le residenze psichiatriche per i detenuti psichiatrici gravi e particolarmente pericolosi. E come lui ce ne sono un centinaio abbandonati in strada o nelle loro case”, denuncia il professor Giuseppe Nicolò, direttore del Centro di salute mentale di Roma 5, che siede al tavolo Interministeriale Salute-Giustizia per la riforma delle Rems. Un’emergenza non solo sanitaria ma anche di sicurezza pubblica.

Le Atms che assistono in carcere lo zero virgola zero e qualcosa dei detenuti con disturbi mentali. Secondo il Rapporto Antigone il 9,2% dei detenuti in Italia, ossia circa seimila dei 65mila che sovraffollano le nostre carceri ha avuto diagnosticato un disturbo psichiatrico grave. Problemi di salute mentale lo ha quasi la metà della popolazione carceraria, almeno a osservare quanti fanno uso di psicofarmaci, anche pesanti. Per questo fa cadere la braccia il numero di quanti sono in qualche modo assistiti da un punto di vista psichiatrico dentro gli Istituti di pena: soltanto 247 detenuti nel 2022, dei quali 15 donne. Lo zero virgola zero e qualcosa di chi avrebbe bisogno di cure.

Numeri persino in peggioramento rispetto all’anno precedente quando erano in 292 ad essere seguiti nelle Atms. Sigla sconosciuta ai più che sta per “articolazioni per la tutela della salute mentale”. Sezioni penali a prevalente gestione sanitaria, sorte un po’ spontaneamente senza che venissero mai realmente normate. “Specie di comunità terapeutiche dietro le sbarre che dovrebbero ospitare non più di 20 detenuti seguiti da psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri e terapisti della riabilitazione “spiega il Professor Giuseppe Nicolò, psichiatra che siede al Tavolo Salute-Giustizia voluto da Schillaci per affrontare l’emergenza psichiatrica nei penitenziari. Peccato però che di Atms ne siano state create appena 32, dislocate in 17 istituti di pena. Una goccia d’acqua nel deserto come dimostrano le sole 8,75 ore l’anno di assistenza psichiatrica ogni 100 detenuti.

Le liste d’attesa infinite nelle Rems, problema di sicurezza pubblica oltre che psichiatrico - Chiuso il capitolo vergognoso degli Opg, i manicomi giudiziari da incubo, ad accogliere i detenuti socialmente pericolosi e con gravi malattie mentali dovevano essere le Rems, Residenze per non più di 20 reclusi, sottoposti al controllo del personale addetto alla sicurezza. In Italia ce ne sono 592 dove sono ricoverate attualmente 592 persone, dichiarate dall’autorità giudiziaria “incapaci di intendere e di volere” e che in quanto tali non possono essere detenute perché vanno curate. Una legge di civiltà si dirà, ma la Corte Costituzionale nel 2022 ha parzialmente bocciato le Rems, sostenendo che non si può togliere al magistrato il controllo dell’esecuzione delle misure di sicurezza che la legge 81 del 2014 ha affidato invece ai sanitari. Fatto è, come spiega lo psichiatra Giuseppe Nicolò del tavolo Giustizia-Salute istituito sul tema, “che se prima in media gli Opg ospitavano tra i 1.100 e i 1.300 pazienti nelle Rems ora ce ne sono circa la metà, con quasi 700 persone in lista di attesa, alcune altamente pericolose ma libere, non potendo essere recluse”. Per ovviare al problema gli esperti del Tavolo voluto dal Ministro Schillaci stanno ora elaborando un piano che preveda delle “super Rems” ad alta sicurezza per il 20% di malati psichici socialmente più pericolosi, strutture a più basso livello di sicurezza rispetto alle attuali per il 40% di malati meno pericolosi, mentre il restante 40% resterebbe nelle attuali Rems.

L’alternativa delle Comunità terapeutiche (già piene) - Le sezioni carcerarie che dovrebbero assistere chi ha disturbi psichici non gravissimi accolgono una quota infinitesimale di chi ne avrebbe bisogno e le Rems per chi è più grave e socialmente pericoloso hanno liste di attesa difficili da smaltire senza una alternativa. Che pure ci sarebbe, furi dalle carceri e sono le comunità terapeutiche con la sola presenza di personale socio-sanitario. Luoghi lontani dall’idea di detenzione che pure nel 2022 hanno ospitato 5.587 persone in libertà vigilata. Ossia che vuoi per le loro condizioni di salute, vuoi per lo loro scarsa o inesistente pericolosità sociale per il giudice possono godere di una misura alternativa alla detenzione. Per gli esperti del Tavolo Giustizia-Salute potrebbero ospitare anche detenuti socialmente ritenuti non pericolosi ma il problema è che sono già sature e che per costruirne di nuove o ampliare quelle che ci sono già servono risorse. Basti pensare che ogni ospite in comunità costa in media 200 euro al giorno. Che sono però sempre meno dei 500 necessari per risiedere in una Rems.

“Tutte le proposte di riforma delle misure di sicurezza, sia quelle di stampo abolizionista che revisionista - ricorda il Rapporto Antigone - concordano sul fatto che debbano esistere luoghi a carattere comunitario dove i ‘folli-rei’, in particolare quelli con una medio-bassa pericolosità sociale, debbano essere accolti”. Come sempre per passare dalle parole ai fatti serviranno i soldi.