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di Dacia Maraini

Corriere della Sera, 10 ottobre 2023

L’intelligenza viene spinta a sviluppare strategie di sopravvivenza e per questo si spengono le alleanze e le amicizie fra disuguali. Conosco queste atmosfere in cui l’odio prevale sulla comprensione e la tolleranza. Conosco la paura e il sospetto che nasce ogni volta che si incontra una persona: sarà con noi o contro di noi?

Venti di guerra. Aggressività che cresce e si moltiplica. Alcuni fra i più giovani, che hanno antenne sensibili, sembra abbiano subito capito il momento e ci dimostrano che la crudeltà è affrancata e va praticata nel pensiero e nelle azioni per mostrare al mondo la propria piena adesione al momento. Per chi crede ancora nelle parole e nell’incontro anziché nello scontro, la cosa che allarma è la semplificazione. Ogni guerra semplifica: da una parte i nemici da colpire, dall’altra gli amici da difendere. Ogni accordo, confronto, dibattito, scambio viene eliminato perché la vita deve dividersi fra buoni e cattivi. L’intelligenza viene spinta a sviluppare strategie di sopravvivenza e per questo si spengono le alleanze e le amicizie fra disuguali. Conosco queste atmosfere in cui l’odio prevale sulla comprensione e la tolleranza. Conosco la paura e il sospetto che nasce ogni volta che si incontra una persona: sarà con noi o contro di noi?

Ma la cosa più spaventosa è che le guerre si stanno trasformando. Non ci sono più eserciti contro eserciti, armi contro armi che, per quanto atroci, ubbidivano a delle regole. La guerra si è trasformata in terrorismo: si colpiscono i più deboli per fiaccare l’animo dei più forti. Si usa la tortura, lo stupro, la rapina, per vincere, psicologicamente prima che fisicamente. È quello che Putin ha fatto a Bucha e che oggi stanno imitando in molte altre parti del mondo, cominciando da Israele.Lo spirito di vendetta prevale su un razionale progetto di pace, le persone diventano corpi di scambio, le prigioni si riempiono di chi non sta al gioco e si anela a un futuro come a una terra desolata su cui spicca una bandiera: quella del vincitore. Coraggiose e intrepide le giornaliste inviate di guerra che ormai sono più degli uomini in prima linea. Cercano di raccontarci la guerra da vicino. Eppure c’è chi nega i loro resoconti come se fossero discorsi di parte.

Ma non è più credibile chi rischia la vita per andare ad ascoltare i testimoni piuttosto che dare credito alle parole di chi, stando al sicuro strepita e giudica senza una vera conoscenza? Ho paura che stiamo entrando, come dice il nostro saggio Papa Francesco, nella terza guerra mondiale, che probabilmente sarà molto diversa dalle precedenti, proprio per questo aspetto psicologico e mediatico. Per chi ama le parole e la complessità del pensiero c’è da piangere. Intanto piangiamo i morti innocenti che hanno pagato senza neanche sapere perché.