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di Giuseppe Salvaggiulo

La Stampa, 19 agosto 2023

La Cassazione, nella massima composizione delle sezioni unite, ha dato ragione ai giudici del tribunale di Asti che avevano pronunciato una sentenza prima di ascoltare l’arringa difensiva. La vicenda aveva suscitato proteste da parte delle Camere penali, ma anche una coda disciplinare per i tre giudici. Ora la Cassazione ha assolto definitivamente le giudici Claudia Beconi e Giulia Paola Elena Bertolino e annullato la condanna del presidente del collegio, Roberto Amerio.

Il 18 dicembre 2019 i tre giudici avevano concluso il processo a un uomo, accusato di violenza sessuale nei confronti della figlia minorenne, condannandolo a 11 anni di carcere. Ma in quell’udienza, in realtà, era prevista l’arringa della sua avvocata Silvia Merlino, che era stata rinviata un mese prima. I giudici se ne erano dimenticati, leggendo il dispositivo evidentemente già predisposto in una pre-camera di consiglio.

Di fronte alle rimostranze dell’avvocata, il presidente Amerio aveva strappato il foglio con la sentenza, invitandola a prendere la parola. Lei si era rifiutata. A quel punto i giudici, consultatisi, avevano sospeso il processo, dichiarando di non potersene più occupare. Ma la sentenza, pur viziata, era stata formalmente pronunciata. Dunque il processo era concluso. Un pasticcio senza precedenti. “Si sperimenta la giustizia senza avvocato, considerato fastidioso orpello”, avevano tuonato le Camere penali invocando il trasferimento dei giudici. Una richiesta stigmatizzata come “pressione inammissibile” dal procuratore generale Franco Saluzzo e “intimidazione inaccettabile” dall’Associazione nazionale magistrati. Il comportamento dei giudici astigiani era stato vagliato in sede penale dalla Procura di Milano, competente sui magistrati piemontesi.

L’iniziale ipotesi di falso per soppressione di atto pubblico a carico del presidente Amerio, per aver strappato la sentenza, era stata archiviata qualificando il fatto come errore privo di dolo. La Procura generale della Cassazione, sollecitata anche dal ministero della giustizia, aveva promosso l’azione disciplinare contro i tre giudici, accusandoli di “grave violazione di legge e violazione del dovere di imparzialità, correttezza e diligenza che ha cagionato un irreparabile danno all’imputato nonché all’amministrazione della giustizia”. Per il presidente del collegio si aggiungeva l’accusa di “aver adottato un provvedimento sulla base di grave e inescusabile negligenza”, sia strappando il dispositivo della sentenza sia dettando l’ordinanza con cui ammetteva “un errore materiale” e si spogliava del processo.

Nel novembre scorso, la sezione disciplinare del Csm aveva assolto le due giudici. Da un lato, perché “manca la prova” che avessero deciso la condanna prima della fine del processo, “poiché fu il presidente a leggere il dispositivo prematuro”; dall’altro, “non potendo le medesime in alcun modo opporsi all’inopinata e imprevedibile lettura del dispositivo”, che non avrebbero potuto certo interrompere.

Peraltro, il dispositivo era solo una specie di bozza “con natura meramente provvisoria”. Il presidente Amerio si era giustificato dicendo di essere sotto stress, corroborando la tesi con una perizia medica che stabiliva un nesso causale tra il fattaccio e la condizione psicologica data dalle condizioni di lavoro. Ma il Csm non gli aveva creduto, condannandolo alla sanzione della censura per “ingiusto danno all’imputato, causato dalla violazione di regole basilari”. La Procura generale aveva insistito per la condanna di tutti e tre, portando la questione in Cassazione. Anche il presidente Amerio aveva fatto ricorso, per l’annullamento della sua condanna. La Cassazione ha dato torto alla Procura generale e ragione ad Amerio, su tutti i fronti. Dunque condanna annullata e atti restituiti al Csm per un nuovo processo, con precisi paletti. Il primo è che il Csm non ha adeguatamente considerato “gli argomenti evocati dalla difesa in ordine alla concomitanza di circostanze stressogene verificatasi nel periodo in cui è calato l’episodio”, limitandosi invece a liquidarli con “affermazioni apodittiche”. Il secondo paletto è che “l’imputato non ha subito un danno ingiusto dalla sentenza prematura, essendo pacifico che ha avuto un nuovo processo e quindi non solo non ha perso alcuna chance, ma addirittura ne ha avuta una in più”. Né basta a configurare un illecito disciplinare l’inevitabile allungamento dei tempi processuali.

Infine il foglio della sentenza strappato davanti all’avvocato dopo “l’improvvida lettura”. Secondo il Csm “un atto abnorme”. Non per la Cassazione, che imputa alla sezione disciplinare di aver effettuato “una valutazione totalmente carente”. Per Amerio, che ora lavora a Savona come giudice penale monocratico, ci sarà dunque un nuovo processo disciplinare, presumibilmente in discesa. Le due giudici lavorano ancora ad Asti, una come gip l’altra nel settore civile. La loro contestata sentenza, nel frattempo, è stata dichiarata nulla dalla Corte di appello di Torino. Nel nuovo processo celebrato davanti a un diverso collegio che ha ascoltato anche l’arringa difensiva, l’imputato è stato ugualmente condannato, ma a pena minore: 7 anni anziché 11. Ulteriore riduzione in appello a 4 anni e mezzo. Pende ricorso in Cassazione. La moglie, che nel primo processo era stata condannata a 4 anni per non essersi opposta alla violenza sessuale sulla figlia, è poi stata assolta.