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di Federica Woelk

Il Riformista, 23 novembre 2023

Spesso e volentieri si parla dei serbi in Kosovo, ma quanto poco sappiamo degli albanesi in Serbia? Eppure sono due facce della stessa medaglia. E sempre di diritti delle minoranze si tratta. Con la differenza che della minoranza albanese in Serbia non si parla mai, mentre della minoranza serba in Kosovo sempre e comunque (e spesso anche spargendo disinformazione), nonostante la minoranza serba in Kosovo sia molto garantita, con molti diritti, mentre non si può sostenere lo stesso per gli albanesi in Serbia.

Per fare un esempio concreto, il governo kosovaro ha confermato l’aumento dei fondi destinati all’Ufficio del Commissario per le lingue. Un altro passo avanti verso la piena attuazione di questa legge è rappresentato dal fatto che le dirette streaming delle riunioni di governo sono state rese disponibili in serbo. Sono misure, queste, che in Serbia nemmeno vengono discusse, mentre si discute continuamente dei (pochi) diritti degli albanesi.

La regione di Bujanovac e Preševo, in cui vivono gli albanesi in Serbia, è nota come valle di Preševo dove la situazione può essere così rappresentata: nei comuni di Presheva e Bujanovac gli albanesi costituiscono la maggioranza della popolazione (93,7% a Preševo e 62% a Bujanovac secondo il censimento del 2022). Nel comune di Medveđa, gli albanesi sono il secondo gruppo etnico più grande (dopo i serbi), e rappresentano in questo comune il 32% della popolazione nel censimento del 1981, il 28,67% nel 1991 e il 26,17% nel 2002.

Nonostante tale concentrazione locale, i diritti degli albanesi in Serbia sono molto limitati. Non hanno, ad esempio, nessun diritto di essere ad essere rappresentati da un proprio partito nel Parlamento della Serbia; a differenza dei serbi in Kosovo, che hanno un proprio partito politico con la garanzia di seggi riservati in Parlamento.

Gli albanesi in Serbia sono spesso soggetti a discriminazione molto estesa; il tasso di disoccupazione è particolarmente alto fra loro. Ma non vengono nemmeno riconosciuti: Infatti, i leader di etnia albanese sostengono che il governo abbia sottoposto gli albanesi alla cosiddetta “passivizzazione” per ridurre il loro numero ufficiale nel territorio serbo. L’articolo 18 della legge sulla residenza dei cittadini in Serbia permette al Ministero dell’Interno di rimuovere le persone dal registro civile (cioè “passivizzarle”) se il Ministero stabilisce che non vivono attualmente al loro indirizzo registrato. Frequentemente, le forze dell’ordine attuano questa decisione attraverso visite spontanee a casa, spesso durante l’orario di lavoro, e una sola visita in cui non trovano nessuno è solitamente sufficiente per comportare la conseguenza della cancellazione della residenza all’indirizzo indicato.

Secondo un rapporto del 2021 del Comitato Helsinki per i diritti umani in Serbia1, l’applicazione sproporzionata di questa legge da parte del governo nei confronti degli albanesi equivale a “pulizia etnica condotta attraverso mezzi amministrativi”. La Serbia usa quindi due pesi e due misure: da una parte si lamenta che i kosovari serbi non abbiano abbastanza diritti e pretende un’apposita Associazione delle municipalità serbe, dall’altra, non provvede alla protezione delle proprie minoranze nel sud della Serbia. Proibisce, come unico paese della regione, l’uso del simbolo nazionale per la sua minoranza, attraverso la legge sulle minoranze. Non così invece nei territori kossovari, in cui la minoranza serba legalmente usa la bandiera serba a Gracanica, Kumanove e Kotorr. Invece nella Valle di Presheva, in Serbia, la bandiera albanese rimane vietata. Questa ovvia differenza di standard di protezione stride se si cercano criteri comuni di protezione delle minoranze nei due paesi limitrofi.

Neanche nel dialogo fra Kosovo e Serbia la discussione sui diritti degli albanesi in Serbia trova collocazione. Questo è un problema cruciale da affrontare presto, perché destabilizza la situazione e impedisce di trovare un accordo sostenibile a lungo termine. Concentrarsi solo sui serbi nel Kosovo è parte della strategia del governo serbo per non dover affrontare le proprie mancanze in fatto di diritti umani e diritti delle minoranze; una tattica diversiva. Il fatto che questo tema non sia incluso nel dialogo fa venire il dubbio che più che di un dialogo si tratti di un monologo. È ora di cambiare approccio e di focalizzarsi sul riavvicinamento e il buon vicinato fra i due stati. Per questo, ci deve essere un approccio equo, che tratta tutte le cose importanti per entrambe le parti, non solo quelle rilevanti per una sola parte. Un approccio equo che porta ad un dialogo vero.

Nel frattempo, è necessario che i diritti della popolazione albanese in Serbia vengano non solo riconosciuti dalla controparte, ma anche effettivamente rispettati. Un altro esempio concreto per spiegare la situazione: il Kosovo ha attuato l’accordo di Bruxelles e ora permette ai serbi di riconoscere i loro diplomi presso l’Università di Mitrovica. Tuttavia, gli albanesi in Serbia non hanno la stessa possibilità di vedersi riconosciuti i diplomi dalla Serbia, anzi, per loro non esiste nemmeno un’università dedicata. L’esempio è significativo, perché il tema dell’educazione è fondamentale, la base per poter mantenere e trasmettere la propria identità, anche culturale. Non creare le condizioni affinché ciò avvenga significa non rispettare l’altra identità culturale presente nel paese.

Il problema è sentito, dalla minoranza albanese, tanto che in questa regione esiste un ufficio che si occupa proprio della situazione degli albanesi residenti in Serbia, e che segnala la loro grave situazione della quale si parla troppo poco; con tutto l’impegno e la pressione nei confronti del Kosovo per rispettare i diritti dei kosovari serbi, perché non si discutono anche le garanzie a favore degli albanesi in Serbia? La reciprocità dovrebbe essere parte integrante e principio fondamentale di un processo di “normalizzazione” (termine molto usato, ma svuotato del suo significato perché l’attuale contesto ha poco a che fare con la normalità).

Ultimamente sono usciti diversi articoli sul tema, ma ritengo che sia fondamentale un’attenzione ancora maggiore per il problema. Si tratta di diritti, della garanzia per delle persone di poter vivere in un luogo che è casa loro senza sentirsi “di troppo”, di garanzie per il rispetto della cultura e della lingua diverse. Parliamo di riconoscere un’identità, diversa di quella della maggioranza, e di rappresentanza a partecipazione della minoranza: due concetti chiave per una società inclusiva e sostenibile. Che sia per i serbi in Kosovo, o per gli albanesi in Serbia.