sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Eleonora Camilli

La Stampa, 15 marzo 2024

Alla deriva per giorni senza cibo né acqua, inghiottiti in mare. I 25 superstiti in viaggio verso Ancona sulla Ocean Viking. Morti di fame e di sete dopo una settimana alla deriva ai confini dell’Europa. Sono almeno 60 le vittime dell’ultima tragedia nel Mar Mediterraneo. Nessuno ha risposto all’Sos lanciato dal centralino dell’ong Alarm phone per soccorrere il gommone partito dal porto di Zawija, in Libia, con a bordo circa ottanta persone, tra cui donne e bambini. Quando nella notte tra martedì e mercoledì, la nave umanitaria di Sos Mediterranée, Ocean Viking, ha individuato il relitto fantasma, con 25 superstiti, si è trovata davanti a una scena mai vista prima, in sette anni di attività.

Persone gravemente deperite e disidratate, allo stremo delle forze, sopravvissute bevendo solo acqua di mare. Tra loro anche 12 minori non accompagnati. Tutti sotto choc per aver visto morire ad uno ad uno i compagni di viaggio. E per esser stati costretti a gettare i loro corpi in mare. Un uomo, di origine senegalese, con un filo di voce, ha raccontato ai soccorritori di aver assistito alla morte del figlio e di sua moglie: il piccolo di appena un anno e mezzo non ha superato il secondo giorno, la madre è morta due giorni dopo.

Stando ai racconti dei sopravvissuti il motore del gommone si sarebbe rotto dopo poche ore dalla partenza dal porto libico. E i migranti sarebbero rimasti senz’acqua e senza cibo per giorni, appesi solo alla speranza che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a salvarli. Ad avvistarli sono stati, però, solo gli operatori dell’organizzazione umanitaria dal ponte della loro nave. “Se non avessimo agito tempestivamente quanto tempo ancora avrebbero resistito? Probabilmente molto poco. E di queste persone, e delle altre morte durante il viaggio, non avremmo mai avuto notizia” sottolinea Valeria Taurino, direttrice generale di Sos Mediterranée. “È inaccettabile che un’imbarcazione in avaria resti in mare una settimana, senza che nessuno se ne accorga”.

Data la situazione particolarmente critica dei superstiti, il team medico a bordo ha dovuto attivare una procedura speciale d’urgenza. Due persone sono state evacuate. “Erano incoscienti, in condizioni cardiache e respiratorie molto gravi, altri erano in ipotermia - racconta Anne, il medico della nave -. Ci sono poi persone che presentano sul corpo gravi ustioni da carburante”. Dopo il recupero dei naufraghi, l’ong ha operato due soccorsi, salvando altre duecento persone, tra cui 20 donne e 30 minori, anche piccolissimi, sotto i quattro anni. Che toccheranno terra però solo fra cinque giorni. Alla nave dell’ong è stato infatti assegnato il porto di sbarco di Ancona, nelle Marche, a 1.450 chilometri di distanza. “È una decisione che aggiunge solo sofferenza a una situazione già terribile, alcuni naufraghi sono ancora attaccati all’ossigeno per riprendersi - tuona Taurino -. Quella dei porti lontani è ormai una prassi, ma spesso è disumana”. L’organizzazione ha chiesto formalmente al Viminale l’assegnazione di un porto più vicino senza ricevere risposta. Anche per Filippo Ungaro, portavoce dell’Unhcr, “non è opportuno che la nave faccia un viaggio così lungo dopo una tragedia del genere”. “Un evento orribile - aggiunge - che conferma come la rotta del Mediterraneo sia tra le più pericolose al mondo”. Negli ultimi dieci anni si contano già 30mila vittime. “Bisogna fare di più da tutti i punti di vista: aprire canali legali e rafforzare la ricerca e il soccorso in mare, anche condividendo la responsabilità a livello europeo”.

E dall’inizio dell’anno sono già 360 i migranti morti in mare, in Italia il totale degli arrivi è di 5.968. Nello stesso periodo dello scorso anno erano stati 347 a fronte, però, di un numero molto più alto di sbarchi, circa 19mila. “In numeri assoluti c’è una diminuzione, ma percentualmente c’è una crescita evidente - sottolinea il portavoce dell’organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) Flavio Di Giacomo -. In mare, dunque, si muore sempre di più. E c’è un vuoto di soccorso enorme, come dimostra quest’ultimo caso. Non è possibile che un gommone resti in mare così a lungo senza che nessuno intervenga”. Di Giacomo ricorda, inoltre, che “il porto sicuro deve essere anche vicino” perché chi è sopravvissuto a un naufragio “deve poter ricevere la necessaria assistenza a terra il prima possibile. Specialmente in un caso come questo”.

E sulle responsabilità del naufragio è già polemica politica, con l’opposizione che accusa il governo di cinismo e di aver reso sempre più difficile il salvataggio in mare con i decreti Piantedosi. Parole che arrivano alla vigilia del viaggio della premier Meloni in Egitto insieme a Ursula Von der Leyen per la stipula di un accordo con Al Sisi per bloccare le frontiere. Nonostante dalle coste egiziane non si parta più da anni, il Paese è infatti una terra di transito per tanti migranti subsahariani che poi, una volta arrivati in Libia, tentano la via del mare. Compresi gli stessi egiziani, un tempo lavoratori frontalieri nel Paese. L’accordo ripropone il modello del memorandum stipulato con la Tunisia di Kais Saied, su cui ieri una risoluzione del Parlamento europeo ha chiesto di fare chiarezza perché non soddisfa criteri fondamentali in termini di diritti. Un provvedimento che potrebbe compromettere sul nascere anche il patto con Il Cairo.