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di Giansandro Merli

Il Manifesto, 27 gennaio 2024

Corte costituzionale. Una sentenza “storica” rompe il tabù e stabilisce nuovi diritti, che ora vanno resi effettivi. Il giudice dichiara illegittimo l’obbligo del controllo a vista dei colloqui. “I colloqui si svolgono in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia”, diceva l’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario. Ieri, però, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo quel “controllo a vista” che era inderogabile e impediva la libera espressione dell’affettività, sesso incluso.

I giudici hanno stabilito che il detenuto ha diritto a incontrare in maniera riservata non solo il coniuge, ma anche la parte dell’unione civile oppure la persona stabilmente convivente. La sentenza, quindi, apre anche alle coppie di fatto, incluse quelle omosessuali. Restano esclusi invece i regimi detentivi speciali, come 41 bis e sorveglianza speciale, e i casi in cui ci siano ragioni ostative di sicurezza, giudiziarie o relative al “mantenimento di ordine e disciplina”.

La decisione della Consulta arriva in risposta a un giudizio di legittimità costituzionale promosso dal magistrato di sorveglianza di Spoleto. Alla base il caso di una persona detenuta nella casa circondariale di Terni che aveva impugnato i divieti dell’amministrazione penitenziaria a svolgere colloqui “intimi e riservati” con la compagna e la figlia di tenera età. L’uomo è in cella da luglio 2019, è stato condannato per vari reati, e ha un fine pena stabilito ad aprile 2026.

Non potendo godere di permessi premio, come la maggior parte della popolazione carceraria, per il detenuto sarebbe di fatto impossibile coltivare qualsiasi forma di affettività familiare o rapporti sessuali con la coniuge. E questo per i giudici “si risolverebbe in una violenza fisica e morale sulla persona sottoposta a restrizione di libertà, peraltro con negativa incidenza su qualunque progetto di nuova genitorialità”. Fatto che violerebbe diversi articoli della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e andrebbe a colpire anche i diritti fondamentali di parenti e partner, persone estranee al reato ma che subiscono indirettamente la situazione.

Già nel dicembre 2012, con la sentenza numero 301, la Corte costituzionale aveva affrontato lo stesso tema sollecitando un intervento del legislatore, che però da allora non ha fatto nulla. Anche per questo i giudici ribadiscono una serie di punti da realizzare per garantire l’effettività del provvedimento. La durata dei colloqui deve essere adeguata a consentire “un’espressione piena dell’affettività, che non necessariamente implica una declinazione sessuale, ma neppure la esclude”.

Gli incontri devono potersi tenere in modo non sporadico, perché l’obiettivo è la conservazione di relazioni stabili. Servono luoghi appropriati, nella migliore delle ipotesi unità abitative attrezzate dove sia possibile anche cucinare e consumare del cibo, riproducendo ambienti di vita domestica. In questo senso alcune prassi sperimentali sono realizzate nel carcere milanese di Opera. Guardando in giro per l’Europa sono tantissimi i paesi che, in diverse forme, garantiscono il diritto all’affettività dietro le sbarre: Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Norvegia, Olanda, Spagna, Svezia e Svizzera.

Il segretario e deputato di +Europa Riccardo Magi ha presentato lo scorso dicembre una proposta di legge “a tutela delle relazioni affettive intime delle persone detenute”, che tra le altre cose prevede l’istituzione di unità abitative idonee all’interno dei penitenziari e stabilisce il diritto a una visita mensile che duri tra le sei e le 24 ore. Magi giudica “straordinaria” la sentenza della Consulta e invita tutti i gruppi parlamentari a sottoscrivere la sua proposta.

L’Associazione Antigone, che si batte per la promozione di diritti e garanzie nel sistema penale ed è intervenuta davanti alla Corte con un’opinione scritta, definisce “storica” la decisione. “Finalmente l’affettività e la sessualità non sono più un tabù - dichiara il presidente Patrizio Gonnella - Adesso bisogna trasformare un diritto di carta in diritto effettivo”.