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di Eleonora Camilli

La Stampa, 27 gennaio 2024

Antigone: “Verdetto storico, ma adesso diventi un diritto effettivo”. Vietare una vita affettiva e sessuale in carcere lede la dignità delle persone detenute. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con una sentenza da più parti definita storica. Nello specifico, la Consulta chiamata a pronunciarsi sul caso sollevato da un detenuto nel carcere di Terni, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario, che prevede il controllo a vista sui detenuti durante i colloqui con il coniuge o con la persona con cui si ha una relazione stabile. Una norma, che vieta, nei fatti alle persone private della libertà di avere rapporti intimi con il proprio partner all’interno degli istituti di pena durante le visite.

Eppure, spiegano i giudici “l’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive” e riconosce “ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza”. Lo stato di detenzione può quindi incidere sul modo in cui si esercita questa libertà “ma non può annullarla”. In caso contrario, si riscontra una violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione e “una irragionevole compressione della dignità della persona”.

Nella sentenza, la Corte fa riferimento a quanto accade in altri Stati europei, dove sono previsti spazi appositi per rendere possibili gli incontri intimi tra i detenuti e i loro compagni o compagne. È il caso dei “parloirs familiaux” e delle “unités de vie familiale” in Francia, vere e proprie stanze dell’amore, locali cioè appositamente concepiti per le visite di familiari adulti, di durata più o meno estesa, senza sorveglianza continua e diretta. Lo stesso è previsto in Spagna e in molti istituti penitenziari tedeschi, dove sono ammesse visite di lunga durata.

“Ora sarà compito dell’amministrazione penitenziaria e della magistratura di sorveglianza trasformare questa sentenza di portata storica in un diritto esigibile. È necessario, cioè, riorganizzare le carceri italiane e attivare spazi idonei per assicurare a pieno l’affettività e la sessualità delle persone detenute. Altrimenti il rischio è che questo diritto rimanga solo sulla carta”, sottolinea Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone. Anche per Franco Corleone del comitato scientifico dell’associazione Società della Ragione, si tratta di “una sentenza rivoluzionaria, perché fa cadere un tabù che durava da troppo tempo”.

Il sindacato di polizia penitenziaria Uilpa, si dice invece preoccupato per “le problematiche logistiche” che i colloqui affettivi intimi in carcere potrebbero portare, aumentando “il già insostenibile carico di lavoro per gli operatori”. Gli fa eco il Sappe, per cui le carceri potrebbero diventare dei “postriboli” e gli agenti dei “guardoni di Stato”. Eppure per la maggior parte degli esperti questa decisione potrebbe portare un piccolo miglioramento nelle condizioni di vita dei detenuti nelle carceri italiane, che appaiono sempre più allarmanti.

Lo dicono i dati: nei primi 25 giorni dell’anno ci sono stati 29 morti, di cui 11 per suicidio, con una media più o meno di uno ogni due giorni. “Siamo di fronte a una vera e propria ecatombe - aggiunge Gonnella - la sentenza della Corte è uno spiraglio di luce, ma nel sistema di detenzione italiano stiamo vivendo un periodo di buio. I motivi per cui ci si toglie la vita sono tanti e diversi, ma ci sono in questi casi dei tratti comuni: uno è il sovraffollamento. Tre suicidi si sono verificati solo nel carcere di Poggioreale, uno dei più grandi istituti di pena nazionali. È impressionante”. Nel 2023 sono stati 66 in totale i suicidi in carcere, per questo l’impennata di inizio anno preoccupa, “se gli eventi tragici dovessero susseguirsi allo questo ritmo alla fine dell’anno avremo un numero impressionante di morti e suicidi - sottolinea Antigone - una situazione che va assolutamente arginata al più presto”.