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di Chiara Saraceno

La Stampa, 25 gennaio 2024

Il diritto all’istruzione è un diritto costituzionale, sancito non solo all’art. 34, dove si parla di universalità, gratuità e obbligatorietà della scuola di base, e di sostegno ai “capaci e meritevoli” privi di mezzi. È sancito, indirettamente ma potentemente, dall’articolo 3, secondo comma, ove si parla di rimozione degli ostacoli a pieno sviluppo della personalità, quindi del diritto ad accedere a risorse, anche, se non soprattutto, educative nei primi anni di vita in cui si gettano le basi, appunto, dello sviluppo della personalità e delle capacità. Compito della Repubblica, quindi, è assicurare pari opportunità nell’accesso alle risorse educative e di istruzione di qualità indipendentemente dalla famiglia in cui si nasce e dal luogo in cui si vive.

Purtroppo questo diritto costituzionale è ancora lontano dall’essere garantito. Come documentano, tra gli altri, i dati Istat e quelli raccolti dal Gruppo di lavoro per la convenzione sui diritti dell’infanzia e l’adolescenza (Crc), esistono grandi disparità nelle risorse educative pubbliche offerte sul territorio nazionale, non solo tra regioni, ma anche all’interno delle stesse regioni e città: nidi, scuole per l’infanzia, tempo pieno nella scuola dell’obbligo, disponibilità di palestre e laboratori, effettiva disponibilità di scelta tra più indirizzi di scuola secondaria di secondo grado, differiscono a seconda di dove si vive e cresce. E spesso queste differenze si sovrappongono alle diseguaglianze sociali e di contesto, invece di compensarle. Il rischio dell’autonomia differenziata, non a caso richiesta dalle regioni più ricche, è che queste diseguaglianze aumenteranno a livello inter-regionale, in primo luogo perché si ridurranno le risorse complessive da redistribuire verso le regioni più povere, in secondo luogo perché, in grado più o meno estensivo, tutte e tre le regioni che hanno fatto richiesta di autonomia differenziata hanno incluso la scuola tra gli ambiti su cui vogliono piena governance, puntando di fatto verso una regionalizzazione dell’istruzione, differenziata per risorse, curricula, stipendi dei docenti e del personale amministrativo. Ciò forse potrà portare qualche beneficio a singole scuole e studenti nelle regioni più ricche, in termini di risorse aggiuntive, anche se forse a prezzo di un restringimento dell’autonomia scolastica che formalmente esiste e non è sufficientemente attuata e sostenuta e potrebbe essere scavalcata dal nuovo potere regionale. Ma sicuramente cristallizzerà la diversificazione e diseguaglianza dei diritti di bambine/i e adolescenti a vedersi sostenuti nello sviluppo delle proprie capacità a seconda di dove vivono.

Si dirà che a contrastare questa deriva basterà la definizione dei Lep nell’istruzione. Purtroppo non è così, a meno di individuare come Lep le situazioni di maggior svantaggio, rischio molto concreto, visto che l’autonomia differenziata dovrebbe realizzarsi a costo zero. Stante che le regioni che diventeranno differenziatamente autonome tratterranno per sé più risorse, c’è anzi il rischio che non vengano neppure più garantiti quei livelli indecorosi. La cosa è particolarmente evidente in un settore dove pure la legge di stabilità per il 2022 aveva introdotto dei, pur minimi Lep: quello dei servizi educativi per la prima infanzia. Accanto all’obiettivo definito nel Pnrr di raggiungere entro il 2026 almeno il vecchio obiettivo europeo del 33% di copertura nei nidi su tutto il territorio nazionale, erano state stanziate risorse per garantirne il funzionamento. Ma l’obiettivo è stato fortemente ridimensionato nella riformulazione del Pnrr decisa dal governo Meloni e la sua attuazione rimandata ad altri fondi ancora da individuare, benché nel frattempo l’Unione Europea abbia alzato l’asticella al 45% di copertura. Le regioni e i comuni più sguarniti, per lo più tutti nel Mezzogiorno, rischiano di rimanere tali ancora per molto tempo , nonostante uno degli obiettivi del Pnrr fosse la riduzione delle diseguaglianze territoriali. Questo è successo senza che sia stata ancora approvata l’autonomia differenziata. È un tema che viene affrontato oggi in un seminario organizzato a Roma da Alleanza per l’infanzia con il patrocinio di Anci, dal titolo “Politiche educative e servizi integrati per la prima infanzia e i genitori: una sfida che parte dai territori”. L’obiettivo è di evidenziare le criticità che si presentano in un settore così cruciale per i diritti educativi dei bambini e per l’uguaglianza delle opportunità, ma anche di mettere in comunicazione le molte buone pratiche che sono realizzate in Italia, per lo più in collaborazione con il Terzo settore, non solo nell’organizzazione dei servizi e nel contrasto alla povertà educativa, ma anche nel sostegno alle capacità genitoriali fin dai primi mesi di vita dei bambini. Perché non si può pensare di incentivare le scelte positive di fecondità senza offrire ai bambini e ai loro genitori contesti di vita, di crescita, di apprendimento soddisfacenti e non dipendenti esclusivamente dalle risorse personali e/o dal luogo dove si vive.