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di Gennaro Grimolizzi

Il Dubbio, 7 settembre 2023

Nessuna esitazione dal partito di Meloni. Parla il senatore Sergio Rastrelli: “Serve equilibrio tra decisori e controllo giudiziario”. Un confronto franco e costruttivo con gli alleati per realizzare le riforme e tener fede agli impegni presi nel programma di governo. Sergio Rastrelli, senatore di FdI e segretario della commissione Giustizia di Palazzo Madama, è chiaro nell’indicare la rotta. A partire dalla discussione sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio.

Senatore Rastrelli, la posizione di FdI sull’abuso d’ufficio è sembrata emergere con chiarezza anche nel corso dell’audizione del presidente Anac in commissione: siete per dunque l’abrogazione del reato?

Fratelli d’Italia ritiene che un intervento riformatore sulla giustizia sia assolutamente ineludibile. A partire proprio dall’abolizione del reato di abuso d’ufficio. In realtà, lo schema riformatore è molto più ampio. I nostri intendimenti sono di una riforma strutturale del sistema anche con interventi di natura costituzionale. Per tracciare la rotta, una delle prime emergenze era quella di agire sull’abuso d’ufficio, che noi riteniamo una assoluta anomalia di sistema.

In che cosa consiste esattamente l’anomalia?

Si tratta di una posizione che va al di là dei dati statistici. Riteniamo questo reato una anomalia perché impegna inutilmente risorse, appesantisce l’apparato giudiziario e, soprattutto, grava sull’azione amministrativa con ricadute che non possiamo permetterci sulla funzionalità della Pubblica amministrazione. Vogliamo pertanto invertire la rotta.

E qual è nel complesso la strategia?

Vogliamo mutare il paradigma: non possiamo più consentirci di individuare nella Pa il luogo della corruttela. Da questo origina questo interminabile scontro tra politica e giustizia, che vorremmo superare. È indubbio che tutti gli interventi riformatori compiuti, sul reato, nel corso del tempo non siano riusciti a risolvere il problema, perché è rimasta una sorta di norma penale in bianco, dotata di un senso e di una funzione nella logica del Codice del 1930, quando la visione autoritaria del regime poneva l’abuso innominato a tutela della Pa in quanto tale. In una logica costituzionalmente orientata la legge ormai tutela non la Pa in quanto tale ma i cittadini che devono essere tutelati dalla Pa inefficiente o bloccata. Se questo è il presupposto, dobbiamo chiederci se il nostro ordinamento abbia o meno già un regime articolato di previsioni che pongano il cittadino al riparo dalle disfunzioni della Pubblica amministrazione. Abbiamo un apparato repressivo straordinario. Ho fatto presente questo argomento anche al presidente dell’Anac, Busia, ho ricordato che ci troviamo non solo davanti a un apparato di repressione penalistica ma anche disciplinare, contabile, erariale. Non ci sarà alcun arretramento sul fronte della lotta alla corruttela o comunque alle disfunzioni della Pa. Non possiamo però più permetterci una Pa bloccata e una ingerenza pervasiva del giudice penale sull’operato dei pubblici amministratori. Non possiamo più permettere che venga violata la sfera di autonomia riservata alla Pa. Il segnale politico in quest’ottica è chiaro e va nella direzione dell’abolizione del reato.

Avete previsto delle conseguenze a fronte di un intervento abrogativo?

Certo. Ci sono potenziali criticità e non vogliamo neanche nascondere il rischio di una riespansione applicativa di altri reati, dei piccoli vuoti normativi che andranno colmati. L’esigenza primaria che noi dobbiamo osservare consiste nel ristabilire l’equilibrio tra la certezza dell’attività amministrativa e la pienezza del controllo giudiziario. A tal riguardo vanno attivati altri strumenti, come i meccanismi in termini di controllo, la leva disciplinare, persino gli interventi di formazione dei pubblici funzionari per rendere la Pa attrattiva in termini di qualità.

Rispetto alle vostre posizioni, i sindaci, compresi quelli di centrosinistra, mostrano attenzione per non dire adesione. È un segnale significativo?

Non abbiamo mai imposto una visione ideologica. Abbiamo raccolto una sofferenza sociale che ben si esprime anche nella posizione, praticamente uniforme, di tutta l’avvocatura a tutela dei pubblici amministratori. L’effetto di raffreddamento, come viene chiamato in sede giurisprudenziale, induce il funzionario pubblico nel dubbio a rintracciare sempre la strada più rassicurante per la sua attività, con effetti negativi in termini di perdita di efficienza e rallentamento dell’azione amministrativa. I sindaci, e non solo loro, sono sovraesposti. Questo è il paradosso della sinistra, che ha, per contro, una visione ideologica rispetto ai propri amministratori, i quali invece hanno sposato una necessità ben precisa. È necessario il bilanciamento tra l’assetto dello Stato e la funzionalità di una Pa finalmente responsabile.

Viene spesso citata la Convenzione Onu del 2005 sui fenomeni corruttivi, che però non sancisce un obbligo, per gli Stati, di prevedere l’abuso d’ufficio, ma si limita a una raccomandazione...

A mio avviso, è un falso problema. Abbiamo due elementi che ci confortano. Se anche in futuro ci dovesse essere una indicazione europea di una criticità sopravvenuta, ci saranno interventi additivi con formulazioni specifiche per perfezionare la scelta legislativa. Noi però non possiamo isolare il delitto di abuso di ufficio rispetto al sistema normativo interno. Questo l’ho detto in presenza di Busia e del dottor Santalucia, presidente dell’Anm. Abbiamo già un ordinamento che protegge i valori di interesse che si rifanno alla Convenzione Onu di Merida. Per rispondere alle esigenze del legislatore sovranazionale abbiamo dato attuazione alle direttive sul whistleblowing, abbiamo perfezionato tutte le attività di prevenzione sulla malpractice nel settore pubblico. Abbiamo addirittura affidato a un’Agenzia indipendente un controllo preventivo. Eventuali disfunzioni che emergessero all’esito della riforma sarebbero perfezionabili.

La scelta del governo di estendere l’uso delle intercettazioni nelle forme previste per la lotta alla mafia, anche in assenza della contestazione del reato associativo, rischia di essere incostituzionale: l’allarme è in un documento di FI sul Dl intercettazioni...

Non vi è dubbio, ed è inevitabile, che anche all’interno delle coalizioni ciascuna forza politica sia portatrice di una sensibilità propria. Forza Italia si è sempre connotata per una ricerca di tutte le garanzie possibili nell’ordinamento. Fratelli d’Italia sostiene che le garanzie siano sempre bilanciate dalla necessità di un contrasto durissimo alla criminalità, soprattutto se si parla di criminalità organizzata. È un requisito fondante della nostra identità e della nostra azione politica. Sul tema della criminalità organizzata le garanzie ordinarie vanno bilanciate secondo una logica che tutta Europa ci invidia. Il bene protetto rispetto all’aggressione della criminalità organizzata deve trovare un diverso temperamento. Io sono convinto che anche su questo punto riusciremo a trovare la sintesi.

È plausibile che la commissione Affari costituzionali della Camera congeli l’esame della separazione delle carriere per occuparsi prima del premierato o il testo sulla riforma istituzionale potrà andare in commissione Affari costituzionali al Senato?

Questa è una valutazione di merito che svolgerà la competente commissione di Montecitorio. Quello che, secondo me, va valorizzato riguarda il tema delle riforme di sistema, dato che delineano tutte insieme uno scenario nuovo del quale l’Italia ha bisogno. Ritengo quindi che non ci sia un problema di priorità temporale o logica. C’è un discorso di armonizzazione di un nuovo scenario che noi vogliamo creare. Abbiamo la necessità di rispettare gli impegni presi in campagna elettorale e la separazione delle carriere è uno di questi. Abbiamo preso l’impegno di garantire stabilità di governo e questo avviene anche attraverso un rafforzamento dei poteri a livello di governo centrale. I tempi, i modi e i percorsi si stabiliranno in corso d’opera. Quello che rileva è l’obiettivo finale: far uscire il nostro paese dall’immobilismo e garantire le riforme vagheggiate da decenni.