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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 5 febbraio 2024

Il sovraffollamento delle strutture e la mancanza di personale impegnato nell’assistenza dei reclusi, specialmente di quelli più vulnerabili, hanno aggravato la crisi. Nel 2022 si sono registrati 84 suicidi, nel 2023 sono stati 69, e la preoccupante tendenza persiste nel 2024 con già 15 suicidi all’inizio dell’anno, di cui gli ultimi due a febbraio. La crisi dei suicidi nelle carceri italiane, unita al grave sovraffollamento, richiede interventi immediati e mirati.

Governo e Parlamento devono affrontare la situazione con urgenza, considerando le proposte dei sindacati di polizia penitenziaria e delle associazioni radicali come punti di partenza per un cambiamento radicale nel sistema carcerario. In questa direzione si è mosso il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendo un incontro con il nuovo garante nazionale delle persone private della libertà.

Da oltre una settimana, Rita Bernardini e il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, ai quali si sono aggiunti anche Sergio D’Elia e Elisabetta Zamparutti di Nessuno Tocchi Caino, hanno intrapreso uno sciopero della fame, denominato Grande Satyagraha, chiamando al dialogo con le autorità, in particolare il ministro della giustizia Nordio, affinché prendano in considerazione misure deflattive. Al momento, però, regna il silenzio. E che i suicidi siano inevitabili non è sempre vero. Tra i 15 casi, si annovera quello del 65enne Stefano Bonomi, deceduto dopo un prolungato sciopero della fame. Avrebbe potuto essere salvato? E quanti si sono tolti la vita nonostante i segnali d’allarme?

Le ragioni che possono portare al suicidio sono spesso personali e attribuire ogni tragedia all’istituzione carceraria in quanto tale rischia di essere riduttivo. In questo senso, come indicò l’ex garante nazionale Mauro Palma, ci sono due strade da percorrere. Da un lato, l’amministrazione può intervenire a livello di indicazioni interne, invitando gli istituti penitenziari a una maggiore apertura verso l’esterno. Dall’altro, e questo sarebbe lo strumento principale, è necessario inserire molte più figure di tipo sociale nelle carceri, che, come la realtà esterna, presentano una complessità sempre maggiore.

Questo fenomeno è evidente nelle città e nelle periferie, tanto quanto tra i detenuti. Pertanto, è essenziale investire in tali professionisti per non gravare completamente sulle figure preposte alla sicurezza, che spesso non sono formate per svolgere compiti di assistenza. Il sovraffollamento, in questo contesto, non facilita la situazione. Senza alleggerire il carico delle carceri italiane, diventa quasi impossibile garantire percorsi di trattamento e assistenza per tutti i detenuti, specialmente quelli più vulnerabili. Allo stesso modo, è un dato oggettivo che molti detenuti, a causa di problemi di salute fisica o mentale, risultano incompatibili con l’ambiente carcerario.