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di Salvo Palazzolo

La Repubblica, 11 gennaio 2023

Fino a 24 mesi per il trasferimento nelle strutture sanitarie. In Sicilia ce ne sono soltanto due, a Naso e Caltagirone. Le promesse della politica per nuove sedi rimaste lettera morta. Il dolore dei familiari dei ragazzi che si sono suicidati.

Fino a poche settimana fa, c’era solo uno psichiatra ad occuparsi dei 180 detenuti con gravi disturbi mentali che si trovano reclusi nel carcere palermitano di Pagliarelli. Adesso, sono tre. Ma la situazione resta grave, come denunciato ieri dal comandante della polizia penitenziaria Giuseppe Rizzo, nel corso della riunione di redazione di Repubblica tenuta al Pagliarelli: “Ci sono liste di attesa fino a due anni per poter accedere alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza”.

In Sicilia ci sono solo due “Rems”, a Caltagirone e Naso (Messina), che possono ospitare al massimo cinquanta persone: si tratta di strutture sanitarie di accoglienza per gli autori di reati affetti da disturbi mentali, ritenuti socialmente pericolosi. In molti casi sono tossicodipendenti. Le “Rems” sono residenze specializzate gestite dal Dipartimento di salute mentale delle aziende sanitarie, le uniche in grado di occuparsi di casi difficili.

Da mesi, il garante siciliano dei detenuti, Giovanni Fiandaca, rilancia l’allarme: “Il tema della salute mentale e dell’assistenza psichiatrica in carcere dovrebbe costituire una priorità, anche per ragioni di difesa sociale”. Nei mesi scorsi, l’allora assessore alla Salute Ruggero Razza, aveva annunciato l’apertura di altre due strutture in Sicilia: “Una a Caltanissetta, una nella Sicilia occidentale”. Ma ancora si attende. Promesse erano arrivate anche dall’ex presidente dell’Assemblea regionale Gianfranco Micciché: “Sarei disponibile a portare avanti un disegno di legge che normi le Rems qui in Sicilia”.

Un’altra promessa rimasta lettera morta. Mentre le strutture penitenziarie continuano a farsi carico di situazioni complesse, quasi al limite. “In tutta Italia, la Sicilia è la seconda regione per numero di detenuti che si tolgono la vita”, ha denunciato il garante nazionale per i detenuti, Mauro Palma. Drammatica la denuncia fatta sulle pagine di Repubblica da Ino Vitale, ex poliziotto delle Volanti, uno dei primi ad arrivare in via D’Amelio: “L’inferno pensavo di averlo già visto quel pomeriggio del 19 luglio 1992. Invece, l’inferno dovevo ancora attraversarlo: mio figlio Roberto me lo raccontava ogni volta che andavo a trovarlo al Pagliarelli. Era in cura psichiatrica, anche il giudice aveva detto che doveva essere trasferito in una comunità nonostante fosse stato arrestato per una tentata rapina in una parafarmacia”.

Ma dal maggio 2022 una comunità non si è trovata per Roberto. E lui è crollato: il 28 agosto, era solo in cella, ha fatto un cappio con le lenzuola e si è lasciato cadere giù. Roberto Vitale è morto il 15 settembre all’ospedale Civico, dopo una terribile agonia. “Aveva 29 anni - ci ha raccontato il padre - e una grande gioia di vivere”. Continua a chiedere giustizia anche Lucia Bua, è la mamma di Samuele, un altro giovane trovato impiccato al Pagliarelli, in una cella d’isolamento.

Era il maggio 2018. Pure Samuele aveva 29 anni ed era in cura per una patologia psichiatrica, gli era stata diagnosticata una schizofrenia, era finito dentro dopo una violenta lite in casa. In carcere ha resistito sei mesi. “Il disagio non è solo per chi soffre e per gli operatori - è un’altra delle riflessioni emerse dall’incontro di redazione del nostro giornale in carcere - ma anche per i compagni di cella, che in molti casi si trovano ad assistere chi sta davvero male, tutto il giorno”.