di Marco Boato
iltquotidiano.it, 17 ottobre 2024
Dalle proteste colpite al regime carcerario: tutte le obiezioni al ddl. Il 18 settembre alla Camera dei deputati la maggioranza di destra del governo Meloni ha approvato il disegno di legge sulla sicurezza, che ora è passato all’esame del Senato della Repubblica, dove è stato preceduto già da una forte manifestazione di protesta da parte di forze sindacali e politiche e da molti esponenti della società civile. Si tratta di un gravissimo provvedimento legislativo, che si colloca ma ancor più aggrava sulla linea dei “decreti sicurezza” del l’allora ministro dell’interno Salvini e poi dei decreti “rave”, “Cutro” e “Caivano” dell’attuale governo.
Non solo i partiti politici di opposizione e i principali sindacati, l’Arci, l’Anpi e la Caritas, ma anche molti osservatori giornalistici (tra questi Roberto Saviano, il quotidiano cattolico “Avvenire” ed altri), giuristi e magistrati (in particolare Magistratura Democratica, ma non solo) hanno gettato l’allarme su misure finalizzate quasi esclusivamente alla repressione del dissenso, dei movimenti di contestazione in specie ambientalisti ed ecologisti, anche delle manifestazioni improntate alla nonviolenza e alla resistenza passiva, anche nelle carceri e nei Cpr, al punto che alcune delle norme sono state emblematicamente stigmatizzate come “anti-Gandhi”.
Modello di “cattivismo” Il portavoce italiano di Amnesty International, Riccardo Noury, ha definito questo provvedimento “un modello di ‘cattivismo’ che intacca profondamente, tra gli altri, il diritto di protesta pacifica inasprendo criminalizzazioni o introducendone di nuove”. In generale, ha osservato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, “il ddl sicurezza contiene un attacco al diritto di protesta come mai accaduto nella storia repubblicana, portando all’introduzione di una serie di nuovi reati con pene draconiane, anche laddove le proteste siano pacifiche”.
Secondo Gonnella, “così si colpiranno persone detenute che in carcere protestano contro il sovraffollamento delle proprie celle, gli attivisti che protestano per sensibilizzare sul cambiamento climatico, gli studenti che chiederanno condizioni più dignitose per i propri istituti scolastici, lavoratori che protestano contro il proprio licenziamento”.
Inoltre, secondo il presidente di Antigone, “se consideriamo anche il carcere per le donne incinte e le madri con figli neonati o per chi occupa un’abitazione, si vede come il governo abbia deciso di voler gestire numerose questioni sociali nella maniera più illiberale possibile, cioè reprimendole con l’utilizzo del sistema penale, anziché aprirsi al dialogo e all’ascolto”. “Resistenza passiva” colpita Secondo i sindacalisti della Cgil, la parte più inquietante del disegno di legge è quella che contiene le sanzioni sulla cosiddetta “resistenza passiva”: “Una vergogna che introduce norme pensate e volute per colpire in maniera indiscriminata chi esprime il proprio dissenso verso le scelte compiute dal governo o che manifesta per difendere il posto di lavoro e contro le crisi occupazionali, pacificamente ma in modo determinato, prevedendo fino a due anni di carcere per chi effettua queste proteste nelle strade o in altri luoghi pubblici”.
La canapa e la droga Un emendamento del governo ha equiparato inoltre le infiorescenze della canapa industriale alla droga, imponendo il divieto di importazione, vendita e distribuzione. Questa norma ha incontrato forti critiche dagli operatori del settore, preoccupati per le grandi ripercussioni economiche e occupazionali. Le norme sulle prigioni Per quanto riguarda le norme sull’ordina - mento penitenziario, secondo la presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari, Maria Cristina Ornano, si rischia “di alimentare la tensione già oggi molto forte nella popolazione detenuta”, per via di nuovi reati come quello di “rivolta all’in - terno degli istituti penitenziari”, che punisce chi promuove, organizza e dirige una rivolta all’interno del carcere, ma comprende “nella condotta di reato non solo il partecipare alla rivolta col ricorso alla violenza, ma anche con la resistenza, precisando ulteriormente che quest’ultima è integrata anche dalla mera resistenza passiva; previsione, quest’ultima, che appare di dubbia legittimità costituzionale”.
L’autorità in primo piano Secondo Magistratura democratica, “colpisce la tendenza a introdurre nuove incriminazioni e a introdurre inasprimenti sanzionatori. E preoccupa, in secondo luogo, la costruzione di nuove fattispecie penali (o l’introduzione di aggravanti) che perseguono l’obiettivo di sanzionare in modo deteriore gli autori di reato che hanno commesso fatti nel corso di manifestazioni pubbliche o di iniziative di protesta”. In generale, argomentano i magistrati di Md, nel testo è contenuta “una ‘vi ione’ dei rapporti tra autorità e consociati fortemente orientata al versante dell’autorità, che coltiva l’ambizione di risolvere-con l’inasprimento di pene, l’introduzione di nuovi reati, l’ampliamento dei poteri degli apparati di pubblica sicurezza -problemi sociali che probabilmente potrebbero trovare più efficaci risposte senza usare per forza la leva penale”. Uno “Stato di polizia”.
Scettico sulle prospettive ipotizzate è pure Antonello Ciervo, docente di diritto pubblico, che appunta le proprie critiche su diverse misure, che definisce da “Stato di polizia”. Ad esempio, spiega, quella che “prevede l’arresto in differita anche per le manifestazioni pubbliche”. In pratica, osserva, “ti vengono a prendere a casa dopo aver visto il video della manifestazione; se alla polizia è sfuggito qualcosa, ex post ti arrestano per comportamenti che a questo punto anche discrezionalmente valuteranno come reato”.
Oppure, annota il professor Ciervo, rispetto all’aggravio di pena previsto “se la violenza o la minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, il fatto che io commetta violenza o minacci un pubblico ufficiale in una manifestazione il cui obiettivo è la protesta contro un’opera pubblica è illogico”. A suo parere, “non c’è nessun nesso di consequenzialità tra l’aggravamento di pena e il fatto che io protesti in un corteo per la liberazione della Palestina o perché sono contrario al Ponte sullo Stretto di Messina. Perché dovrebbe aumentarsi la pena in questo secondo caso? Cosa faccio di più grave rispetto a una ‘normale’ manifestazione?”. Secondo il docente universitario, “è chiaro l’intento di criminalizzare le proteste ambientaliste”.
Clandestini? Niente Sim - Un’altra previsione che fa discutere è quella che vieta ai gestori telefonici di vendere una scheda Sim con numero di cellulare a stranieri non provenienti da Paesi europei che siano sprovvisti di permesso di soggiorno valido. “Non crediamo che la misura possa avere un reale effetto di deterrenza - secondo Oliviero Forti, responsabile Immigrazione della Caritas italiana -. Rischia invece di essere una norma discriminatoria che va ad ostacolare il diritto di comunicare con i propri familiari nei Paesi di origine e al contempo potrebbe alimentare il mercato nero delle Sim, con inevitabili conseguenze in termini di sicurezza”.
Secondo il professor Roberto Cornelli, audito alla Camera dei deputati, “i dati Istat oggi disponibili dicono che l’insicurezza derivante dalla percezione della criminalità nel proprio quartiere di vita è in netta diminuzione negli ultimi 5 anni e, negli anni precedenti, ha avuto degli innalzamenti, poi rientrati, proprio in corrispondenza dell’approvazione di decreti sicurezza o in presenza di campagne mediatiche particolarmente pressanti. L’ipotesi, già validata in altri Paesi, è che le leggi sulla sicurezza non intervengano per rispondere a una domanda di sicurezza che viene dal basso, ma al contrario che alimentino campagne politico-mediatiche finalizzate, a volte, a ottenere visibilità o legittimazione politica, altre volte, a irrigidire il quadro delle libertà e delle garanzie democratiche”.
Sebbene non sia stato ancora licenziato il testo definitivo, che è ora all’esame del Senato, è già possibile immaginare i margini di intervento della Corte costituzionale. In particolare, la Consulta ha più volte sottolineato che le scelte di politica criminale rientrano nella discrezionalità del legislatore, ma ciò non significa che la materia penale sia uno spazio franco, sottratto al sindacato di legittimità costituzionale. La stessa Corte costituzionale, infatti, ha chiarito che, salvo l’ambito di scelta discrezionale rimessa al legislatore, è sempre possibile valutare la compatibilità delle norme incriminatrici con l’assetto di princìpi e diritti consacrati all’interno della Carta costituzionale. E, prima ancora che talune norme del ddl sicurezza approdino eventualmente, una volta approvate definitivamente, al giudizio della Corte costituzionale, è lecito immaginarsi che lo stesso Presidente della Repubblica si astenga dalla promulgazione di un simile obbrobrio giuridico e possa rinviare il testo al Parlamento per un suo radicale riesame, sulla base delle sue prerogative costituzionali.
*Ex parlamentare