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di Beppe Severgnini

Corriere della Sera, 13 settembre 2023

Per un “Ivan Marocco”, di cui oggi parlano tutti, in Italia ci sono migliaia di ragazzi e ragazze che, per un po’ di popolarità social, corrono enormi rischi. E li fanno correre a tutti noi. Una delle canzoni più belle di Bruce Springsteen ha per titolo “Racing in the street”. Vuol dire sfidarsi in macchina sulla strada: lo facevano anche i ragazzi del New Jersey, cinquant’anni fa. Qual è la differenza con la bravata criminale di Hafid Habdel El Idrissi, 29 anni, detto “Ivan Marocco”, che domenica ad Alatri è andato a schiantarsi contro l’auto di una mamma e due figlie? La diretta Facebook.

Non è facile guardare quel video: si sente montare la rabbia, osservando un disastro prevedibile in arrivo. Musica a palla, l’auto che schizza velocissima in zone abitate, una mano sul volante e l’altra a reggere il telefono. Il conducente è risultato positivo all’alcol e agli stupefacenti. Cosa si può dire di una persona così? Che è un’idiota criminale? Non basta.

Per un “Ivan Marocco”, di cui oggi parlano tutti, in Italia ci sono migliaia di ragazzi e ragazze che, per un po’ di popolarità social, corrono enormi rischi. E li fanno correre a tutti noi. I giovanotti grintosi e romantici del New Jersey non erano santi; ma si sfidavano di notte in zone isolate, su un tratto di strada diritto e vuoto (the strip). I ragazzi italiani esibizionisti e disperati si lanciano tra le case e la gente, incuranti di tutto e tutti, e l’assurdità del tutto diventa un’ulteriore fonte di eccitazione. Ricordate cos’è accaduto in giugno a Roma, un bimbo morto durante una folle sfida di youtuber? Il meccanismo è lo stesso.

La violenza sessuale di gruppo risponde, in parte, agli stessi stimoli. Quasi sempre c’è di mezzo un filmato, a dimostrazione che i colpevoli non distinguono la propria azione schifosa dai video porno che guardano fin da giovanissimi. Anche comportamenti meno gravi possono produrre conseguenze tragiche. Lo abbiamo visto durante l’estate. Ogni giorno i soccorritori hanno dovuto intervenire per aiutare ragazzi che si avventuravano in alta montagna con le infradito: o si mettevano nei guai in mare, o su una scogliera. Il movente, sempre lo stesso: un selfie, una foto per i social, un filmato.

L’impressione è che per troppi nuovi italiani sia diventato difficile distinguere realtà e finzione. La percezione è distorta. Vanità, egocentricismo e autoindulgenza - il trittico che segna questi anni Venti - fanno il resto. Su questa è la diagnosi - non difficile, peraltro - esiste una terapia? Oppure dobbiamo rassegnarci a questa deriva, sperando di non trovarci sulla strada di uno di questi fanatici esibizionisti? Ci sono due risposte sbagliate a questa domanda: si può risolvere tutto, non si può risolvere niente. La risposta giusta, invece, è: qualcosa si può fare. Ma occorrono pragmatismo e coraggio, due qualità che ultimamente scarseggiano.

Certamente occorre adeguare le norme e le sanzioni. Il codice penale prevede pene vecchie per reati antichi. Ma il mondo, i comportamenti e gli strumenti sono cambiati. Leggiamo che Hafid Habdel El Idrissi. folle narcisista che ha sfiorato una strage per divertimento, “è iscritto al registro degli indagati con l’ipotesi di reato di lesioni stradale aggravate”. Lesioni stradali: tutto qui? E “rischia l’arresto”. Scusate, cos’altro deve fare, una persona, per essere arrestata in Italia?

La seconda cosa da fare sarebbe, in teoria, più semplice; e invece è complicata. Smettere di idolatrare chi non sa fare niente se non esibirsi sui social. È evidente che la quasi totalità degli influencer non commette reati. Ma l’idea che la fama si possa raggiungere con moine, smorfie e bravate è socialmente deleteria. Gli imitatori idioti sono sempre in agguato, purtroppo.

La terza cosa da fare è, semplicemente, immensa. Fornire ai nuovi italiani luoghi e occasioni per passare i giorni di festa e le serate: in molte parti d’Italia ci sono soltanto un bar e la noia. Certe tragedie di gruppo, spesso con la complicità di un’automobile, nascono dal vuoto. Dal vuoto dentro, dal vuoto fuori e dal tentativo disperatamente sbagliato di riempirlo.