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di Irene Carmina

La Repubblica, 14 febbraio 2024

Il Garante dei detenuti di Siracusa gli fa visita nel carcere di Augusta. Pianista, 66 anni, viene ormai alimentato soltanto via flebo. Non mangia e non beve da quasi due mesi. Da quando è stato condannato all’ergastolo, Giulio, 66 anni, ha deciso di lasciarsi morire nel carcere di Augusta, in cui è detenuto. Se è ancora vivo è solo grazie a una soluzione fisiologica salina che gli viene somministrata via flebo giorno e notte, nel reparto di Psichiatria dove è ricoverato.

La voce è flebile, le forze sono ogni giorno di meno, il viso pallidissimo, il corpo deperito. Passa le sue giornate sdraiato sul letto a fissare il soffitto, contando i giorni che gli restano da vivere. Vorrebbe smetterla di contare, lasciarsi morire. Nulla di più. Davanti a lui passa davanti un carrello con il cibo. “Vuoi qualcosa? Anche solo un bicchiere d’acqua?”, gli chiede Giovanni Villari, garante dei detenuti di Siracusa. “No”, risponde Giulio. Lo fa sussurrando, a stento riesce a parlare. Non dice molto altro, solo che è innocente e che, piuttosto che sopravvivere in un istituto detentivo, preferisce farla finita.

Giulio è un pianista, prima del carcere insegnava al conservatorio. “È un uomo colto, garbato e rispettoso - lo descrive Villari che qualche giorno fa è andato a trovarlo - ma soprattutto è un essere umano che ha perso la speranza e ogni ragione per stare al mondo”.

Gli altri detenuti provano a scherzare con lui, a dargli la forza per andare avanti. Il magistrato di sorveglianza è andato a sincerarsi delle sue condizioni. Il personale penitenziario fa il possibile per stargli vicino, stando a quanto racconta il garante dei detenuti. Tutti provano ad aiutarlo: educatori, psicologi, medici, infermieri. La famiglia no, sembra averlo lasciato al suo destino. “Non accetto che un uomo si abbandoni sino a perdere ogni speranza e il desiderio di continuare a vivere”, dice Villari. Prega per lui, è anche pastore evangelico: “Prego e desidero che egli viva, lo spero sinceramente. Basta con sconfitte e morti”.

D’altronde, non è possibile che gli vengano concessi gli arresti domiciliari. “Finché le cure sono ritenute adeguate rimarrà in regime detentivo. Solo che così morirà”. Morirà perché è lui a lasciarsi morire. “Eppure le sue virtù e i suoi talenti potrebbero essere d’aiuto agli altri detenuti, potrebbe ancora riprendersi la sua vita e vedere un giorno la sua verità trionfare”, spiega accorato il garante. È uno dei pochi che sono riusciti a strappargli un sorriso. In qualche modo Villari e Giulio parlano la stessa lingua. “Per approcciarmi a lui, gli ho raccontato che mio fratello è un cantante lirico e gli ho detto: resisti, tu canterai e lui suonerà. Lo farete insieme in carcere, te lo prometto”.

Oggi Villari tornerà a trovarlo. Non punta il dito contro nessuno in particolare: “Tutti qui si stanno prendendo cura di lui, Giulio ha una stanza tutta per sé in Psichiatria. Ma non possiamo fare finta che non ci sia un problema di carenza del personale negli istituti penitenziari, e non è un problema da poco. È un dramma”.

Non ha molto da fare, Villari, se non cercare, nella doppia veste di garante e pastore, di farlo sentire ancora parte di qualcosa: “Il rischio in carcere è che si perda la speranza e ci si senta finiti e inutili”. Così si sente Giulio. Il suo non è neanche uno sciopero della fame e della sete per avere giustizia. Non ha alcuna volontà di rivincita. Al contrario, vuole annullarsi. Spegnersi per sempre. Un po’ come era successo a Giovanni, il detenuto di 54 anni, affetto da una grave neuropatologia ai nervi delle vertebre, che ad agosto era stato trasferito da Rebibbia all’Ucciardone. Solo che Giovanni, che desiderava l’eutanasia, il 19 dicembre è stato trasferito agli arresti domiciliari e una speranza si è accesa. Per Giulio, invece, no. “Non riesce quasi più a respirare, se va avanti così morirà presto”.