di Francesco Battistini
Corriere della Sera, 19 febbraio 2023
Quasi diecimila morti non sono bastati. Cosa serve? Alleggerire le sanzioni internazionali, ammorbidire il governo siriano che blocca gli aiuti e aprire i confini con la Turchia. “Dateci la metà degli aiuti che portate, o ad Aleppo non entrate” (ultimatum del governo siriano alla Mezzaluna rossa Curda, che guidava tre camion di tende e medicine). “A Idlib e nelle zone ribelli il regime di Assad non sta dando niente: quel che arriva dall’estero se lo tengono loro. Dalla Turchia abbiamo visto solo 14 camion Onu, ma è troppo poco” (Abdulkafi Alhamdo, ong Still I Rise). “Finora abbiamo fallito e nel nord-ovest della Siria si sentono giustamente abbandonati” (Martin Griffith, coordinatore Onu). “Chiediamo l’immediato stop dell’embargo che sta mettendo in ginocchio i siriani” (Andrea Avveduto, ong Pro Terra Sancta).
Se ogni parola di protesta valesse un container d’aiuti, la Siria sarebbe sommersa di solidarietà. Ma le chiacchiere stanno a mille e i soccorsi a zero. A una settimana dal terremoto, quasi 10mila morti non sono bastati: 1) ad alleggerire le sanzioni internazionali imposte al regime di Assad; 2) ad ammorbidire Assad, che blocca i camion diretti nelle zone di nord-ovest controllate dagli oppositori del regime; 3) a far sì che la Turchia aprisse i suoi confini, sigillati da tredici anni di guerra. La Siria è un buco nero. I soli valichi aperti sono a Bab al-Hawa, una problematica strada mal controllata da Ankara, e un tratturo che dal Libano innevato scavalla a 1.500 metri d’altitudine (lo usa anche il convoglio umanitario dell’Italia).
Passare altrove è impossibile: le vie sono a pezzi, ci sono focolai di colera, i check-point fanno il resto. Due milioni di siriani vivevano già in campi per sfollati: ora è difficile sopravvivere anche lì, nelle tende e al gelo e senza cibo e a corto di medicine. Anche ong che stanno qui da anni, come Msf, stanno finendo le scorte di magazzino. E i pochi ospedali rimasti in piedi sono strapieni. “Ogni ora perdiamo 50 vite”, hanno scritto i bambini in tre lingue, su cartelli alla bell’e meglio appesi a Bsenia: “Onu e mondo, dove siete?”.