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di Paolo Mastrolilli

 

La Stampa, 9 aprile 2018

 

La Casa Bianca vuole essere dura per non dare spazio a Mosca L'ipotesi di un attacco con i francesi. Dubbi sul ritiro dei soldati. "Ci sarà un grosso prezzo da pagare". Commentando così l'attacco a Douma via Twitter, il presidente Trump ha lasciato intendere di essere pronto a ripetere il raid con cui proprio un anno fa aveva punito Assad, per l'aggressione lanciata a Khan Sheikhoun. Il consigliere per la homeland security Bossert, ha detto che "tutte le opzioni sono sul tavolo".

Trump ha criticato la nuova strage di prima mattina: "Molti morti, incluse donne e bambini, nello scriteriato attacco chimico in Siria. L'area dell'atrocità è sotto assedio e completamente circondata dall'esercito siriano, rendendola totalmente inaccessibile al mondo esterno". Subito dopo ha fatto un atto di accusa, puntando per la prima volta il dito direttamente contro il Cremlino: "Il presidente Putin, la Russia e l'Iran sono responsabili per il sostegno all'animale Assad". Quindi ha lanciato il suo avvertimento, e le sue richieste operative: "Grande prezzo da pagare. Aprire immediatamente l'area per aiuti medici e verifica. Un altro disastro umanitario per nessuna ragione. Roba da malati!". Con un secondo tweet, il capo della Casa Bianca ha criticato il predecessore Obama, accusandolo di non aver agito quando Assad aveva usato per la prima volta le armi chimiche nell'agosto del 2013, aprendo così la porta alle stragi successive, l'Isis, l'intervento russo, l'emergenza rifugiati.

Lo sfogo di Trump è importante per almeno due motivi. Primo, in occasione del precedente attacco chimico aveva risposto bombardando la Siria, e questa azione si potrebbe ripetere ora, appena l'intelligence gli darà la conferma della responsabilità di Assad.

Secondo, la settimana scorsa il presidente aveva detto di volersi ritirare dal paese, forse anche per proteggere i circa 2.000 soldati americani schierati sul terreno da eventuali rappresaglie, in caso di altre missioni punitive. Quindi aveva dato al Pentagono sei mesi di tempo per completare la distruzione dell'Isis, e poi prepararsi a chiudere l'intervento. Ora questo nuovo attacco chimico potrebbe costringerlo a cambiare i piani.

Fra le opzioni sul tavolo e di cui potrebbe discutere già oggi con i suoi consiglieri, c'è anche l'ipotesi di un attacco congiunto con i francesi. Macron è stato fra i leader occidentali il più determinato nel porre Assad dinanzi all'eventualità di azioni militari in caso di ricorso ad armi chimiche. Le ragioni che spingono Trump ad agire sono chiare. Dopo il raid dell'anno scorso, le dichiarazioni di ieri via Twitter, il rimprovero ad Obama di non aver fatto rispettare la linea rossa proclamata nel 2013, non agire stavolta darebbe un segnale di debolezza alla Russia, all'Iran, e anche alla Corea del Nord, con cui sta cercando di negoziare la fine del programma nucleare da una posizione di forza. I rischi invece stanno nella reazione di Mosca, che aveva definito inaccettabile il bombardamento punitivo del 7 aprile 2017; nella possibilità che i soldati americani diventino oggetto di rappresaglie; e nella prospettiva di essere poi trascinato verso un coinvolgimento più massiccio in Siria, proprio mentre si stava preparando a riportare le truppe a casa, come vorrebbero i suoi elettori. Da questo punto di vista sarà decisivo il responso dell'intelligence Usa, perché sul fronte favorevole a Damasco c'è anche chi accusa gli stessi ribelli di aver colpito Douma, proprio per spingere Trump a cambiare idea sul ritiro. Se i servizi segreti forniranno conferme indiscutibili, per il presidente diventerà difficile non agire.

Oggi fra l'altro John Bolton prenderà servizio come consigliere per la Sicurezza nazionale. Una delle ragioni per cui il Pentagono non era favorevole al ritiro immediato dalla Siria stava non solo nella necessità di completare la missione contro l'Isis, ma anche di non lasciare il paese alla Russia e all'Iran. Bolton è noto per aver sostenuto la necessità di favorire un cambio di regime a Teheran, e quindi potrebbe usare l'attacco di Douma per convincere il presidente a restare in Siria per contrastare i piani egemonici iraniani.