sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Alessandro Barbano

Il Riformista, 15 marzo 2024

Il destino delle riforme, i rapporti tra Meloni e Nordio, lo scandalo dei dossier: parla il viceministro. La separazione delle carriere è il fantasma che appare e scompare dall’agenda di legislatura. Ieri il governo, dopo un vertice con il guardasigilli e i leader della maggioranza, ha annunciato la presentazione di un ddl costituzionale ad aprile. Oggi la maggioranza ha fatto saltare la discussione sulla proposta di legge delle camere penali, fatta propria dalla maggioranza ma non da FdI, sostenuta da Renzi e calendarizzata in Parlamento. C’è chi dice che è un modo per metterla in coda al premierato e spedirla in un vicolo cieco perché né la Meloni, né Mantovano vorrebbero la separazione?

“È una tempesta in un bicchier d’acqua, unitamente a un falso ideologico. Perché il Parlamento va certamente rispettato, ma vi era la necessità che il governo partecipasse ai lavori della commissione con una qualche idea. E a brevissimo, cioè all’inizio del prossimo mese, il governo presenterà un’idea, che non sarà distante da quella che è in discussione. Si è trattato anche della necessità di far sentire al Parlamento che questo tema per noi di Forza Italia è ineludibile. La separazione delle carriere è la riforma delle riforme, quella che restituisce al cittadino una geometria piana della giustizia, cioè un triangolo isoscele al cui vertice c’è il giudice, e alla base, alla stessa distanza dal giudice, ci sono accusa e difesa, pm e avvocato. Questa giustizia percepita fa sì che il cittadino veda nel giudice un punto di riferimento, un giudice diverso tanto dall’accusa quanto dalla difesa. Significa recuperare una dimensione costituzionale della Giustizia. Non a caso la Carta dice che solo il giudice è terzo e imparziale. Il falso ideologico sono le strumentalizzazioni che vogliono privare il governo dell’adempimento di un punto del programma elettorale. Noi lo faremmo nel miglior modo possibile e rispettando i percorsi parlamentari. Nessuna cripticità”.

Ha letto l’intervista del procuratore generale della Cassazione, Margherita Cassano al Foglio? Se c’è un punto in cui contravviene al proposito di astenersi dal dibattito politico, è proprio quando dice che la separazione delle carriere è un falso problema, perché riguarderebbe solo il due per cento dei magistrati che passano da una funzione all’altra. Ignorando cioè che la questione è tutt’altra e riguarda la contiguità tra inquirente e giudicante, cioè tra parte e giudice terzo. Non teme che in Parlamento e nel Paese non esista una maggioranza per sfidare la resistenza corporativa della magistratura associata?

“Rispetto tutte le opinioni e in particolare quella della presidente Cassano, che sta costantemente sul pezzo e non si risparmia nel tentativo di dare efficienza al sistema. Ma il problema non sono i magistrati che passano dalla procura alla giudicante, il problema sono gli equilibri all’interno del processo e la percezione che ne ha il cittadino. Se vogliamo dirla con una metafora calcistica, non è possibile che l’arbitro appartenga alla stessa città di una delle due squadre in campo. Lo comprende chiunque. La terzietà deve essere garantita dall’ordinamento giudiziario. Quanto invece all’imparzialità, afferisce invece alla sfera del singolo giudice. In questa stereofonia tra certezza dell’ordinamento di terzietà e posizione soggettiva del giudice che deve essere imparziale c’è il disegno dell’articolo 111 della Costituzione”.

In che modo sarà realizzata la separazione? Con un Csm autonomo e un controllo parlamentare, o con l’inserimento del pm sotto l’egida del ministero della giustizia?

“Respingo al mittente come palla spaziale ogni ipotesi di sottomissione del pubblico ministero all’esecutivo, tant’è che l’articolo 104 della Carta non viene toccato dalla riforma e i magistrati rimangono autonomi e indipendenti. Senza nessuna possibilità di ipotetica deriva. Questo fantasma della sottomissione è solo un espediente dialettico, che lascia il tempo che trova. Per quanto riguarda le modalità, ci sono quattro proposte, se ne aggiungerà una governativa e poi sarà il Parlamento a scegliere. Ci sono state audizioni importanti, è giusto raccogliere tutti i pareri possibili. Poi però l’ultima parola spetta alle Camere. L’articolo 101 della Costituzione dice che i giudici sono soggetti solo alla legge. Vuol dire che il Parlamento non deve ingerirsi nella giurisdizione, ma anche che il giudice non deve ingerire nei percorsi parlamentari. Questa è la divisione dei poteri. Il Parlamento non giudichi e i giudici non legiferino”.

Il vertice a Palazzo Chigi tra Meloni e Nordio è servito a ricomporre una frattura, dopo la sortita del ministro che aveva proposto una commissione parlamentare d’inchiesta sui dossier abusivi e il governo che l’ha smentito, affidando la questione all’Antimafia. Ha prevalso una logica difensiva, preoccupata di far decantare o deflagrare l’incendio dov’è scoppiato. Ma una vicenda di inaudita gravità non meritava di più?

“L’incontro tra premier e ministro non ha riguardato il tema del dossieraggio, ma una messa a fuoco dei temi delle riforme costituzionali. Né mi è sembrato che servisse per ricomporre alcunché. È stato un incontro pacato, in cui ciascuno ha avuto modo di esprimere le sue opinioni e poi con molta sinergia si è optato per rispettare i percorsi parlamentari e dare un contributo da parte del governo”.

Ma l’Antimafia è una ridotta parlamentare di cui fa parte, non a caso, l’ex capo della Procura nazionale al centro e al tempo dello scandalo...

“Il fenomeno del dossieraggio è gravissimo, perché è accaduto in un luogo che dovrebbe essere il luogo del contrasto più serrato rispetto alle forme più gravi di criminalità. Cioè nel tempio della sicurezza nazionale. Però le terapie possono essere diverse. C’è una terapia delle indagini, un’altra appartiene alla Commissione Antimafia. In prima linea è naturale che tocchi a loro. Poi nulla esclude che domani non si possano immaginare altre forme di intervento”.

Quindi ha torto Crosetto, quando dice di temere il rischio che non si arrivi a nulla?

“Capisco le preoccupazioni di Crosetto, ma sono convinto che l’inchiesta in corso sarà capace di andare fino in fondo, è quello che vogliamo tutti”.

Ma lei che idea si è fatto dello scandalo? C’è un grande vecchio, c’è un mercato delle notizie rubate, come azzardano Melillo e Cantone? Oppure le deviazioni sono frutto di una polizia giudiziaria fuori controllo, che si è trasformata in un servizio segreto à la page?

“Io sono un penalista e sono abituato a giudicare le vicende giudiziarie sugli atti. Mantengo quella naturale prudenza quando quegli atti non conosco”.

Ma si è chiesto almeno perché la maggior parte degli spiati appartiene al campo politico e culturale del centrodestra?

“Prendo atto, da quello che si legge, che una larghissima percentuale di dossierati appartiene al centrodestra. Il dato è estremamente preoccupante, perché potrebbe dare l’idea di un disegno di tipo politico. Le indagini in corso dovranno dirci se è vero”.

Però l’Antimafia è diventato un totem nella nostra democrazia, da cui la politica gira al largo per paura di scottarsi. Accade che la Cedu metta un faro sul sistema di prevenzione, che consente la confisca di patrimoni e aziende anche ai cittadini assolti, in base a un rovesciamento della colpevolezza in pericolosità. Anziché difendere un sistema feroce e illiberale, come sta facendo il governo, non sarebbe meglio prendere atto della sua contrarietà ai principi del diritto liberale e modificarne almeno gli eccessi?

“La confisca senza colpevolezza è un tema che merita approfondimento. Non si può negare però che le confische siano state un efficacissimo strumento di lotta alla criminalità. Vi sono in Parlamento anche numerose proposte, anche di Forza Italia, per modificare alcuni meccanismi invasivi e provare a mitigarne gli effetti”.

Tuttavia il ministero garantista, rappresentato da due profili nobili come Nordio e Sisto, fin qui ha messo la firma solo su provvedimenti che inasprivano pene, introducevano nuovi reati, e allargavano il perimetro di applicazione della legislazione speciale antimafia. Mentre l’unico provvedimento riformatore varato galleggia in Parlamento tra veti e pareri contrari. Non è un bilancio magro a un terzo di legislatura?

“La sua domanda è suggestiva perché contiene dati non proprio rispondenti al vero. Innanzitutto perché al ministero siamo una squadra, di cui fanno parte anche con i colleghi Delmastro e Ostellari. E facciamo squadra. E poi perché non è vero che il numero dei reati inseriti nel sistema sia esuberante rispetto alle regole ispirate alla tutela del cittadino. Anzi, il nostro primo obiettivo è uscire da una postura inquisitoria e pensare alla protezione del cittadino. Il cosiddetto Nordio uno - che prevede l’abolizione dell’abuso ufficio, la tipizzazione del traffico di influenze, i limiti alla pubblicazione delle intercettazioni, i limiti all’informazione di garanzia, le misure cautelari collegiali e l’obbligo di interrogatorio e, da ultimo i limiti all’appello da parte pubblico ministero delle sentenze di assoluzione - non galleggia affatto. Ieri lo abbiamo incardinato in commissione giustizia alla Camera e presto sarà legge. Quanto al resto, abbiamo introdotto il divieto di intercettare i colloqui tra indagati e difensore. E il divieto di riportare nei verbali le generalità dei terzi estranei. Abbiamo rafforzato l’obbligo di motivazione per l’uso del Troyan. Perché questo è un governo che ha a cuore il cittadino. Sì, ci sono stati anche interventi di risposta all’emergenza che si possono discutere, però le riforme le stiamo scrivendo per i cittadini. E su questo si vede tutto l’amore che Forza Italia ha per la Costituzione, e che il nostro segretario Antonio Tajani ha testimoniato più volte. Non a caso il prossimo provvedimento riguarda il sequestro dei telefoni cellulari: il pm dovrà chiederlo al giudice e dovrà distinguere i documenti e i file dai messaggi privati, per i quali occorrerà una ulteriore specifica richiesta ai sensi della disciplina delle intercettazioni”.

La pagella dei magistrati, introdotta dalla Cartabia, è stata svuotata, passando da una rigorosa valutazione di performance a controlli a campione. Non è un cedimento alle pressioni della magistratura associata che dal Csm tuona contro qualunque logica meritocratica?

“Il decreto non c’è ancora, le commissioni hanno dato dei pareri, noi lui valuteremo rispettando la volontà del Parlamento. Che vuole i test attitudinali e chiede di prendere in esame tutti i provvedimenti e non solo quelli a campione. Di questo si terrà conto”.

Ma in che modo intendete riformare il Csm e sottrarlo all’egemonia delle correnti?

“C’è in commissione al Senato la proposta di legge Zanettin sul sorteggio temperato nei criteri di elezione del Csm. È un provvedimento che è oggetto di attenzione, da qui si parte. Personalmente sono favorevole alle correnti quando non diventano cordate”.

È d’accordo nell’istituire il voto segreto sulle delibere che riguardano le nomine dei magistrati nelle posizioni apicali?

“Il problema è complesso, deciderà il Parlamento. Ma è certamente utile riflettere su tutti i meccanismi che possano garantire alla magistratura autonomia e indipendenza”.

L’emergenza carceri ha superato il livello di guardia di un Paese civile, con 62 mila detenuti e 24 suicidi dall’inizio dell’anno. Si può continuare a rispondere con i progetti di un’improbabile edilizia carceraria e non disporre misure di decongestionamento immediato?

“Abbiamo fatto indagini specifiche nei luoghi dove sono accaduti i suicidi, abbiamo completato gli organici di supporto psicologico, stiamo assumendo oltre duemila agenti di polizia penitenziaria e stiamo cercando essere maggiormente attenti all’umanizzazione dei luoghi di detenzione”.

È possibile farlo se si sta in dodici in una cella?

“C’è una sentenza, la cosiddetta Torreggiani, che impone determinati standard. Quello che posso dire è che il ministro Nordio è molto attento a questi temi e il nostro dipartimento è molto sollecitato affinché questi fenomeni siano scongiurati”.

L’indulto?

“Non è un giudizio che compete al viceministro della giustizia, ma al Parlamento”.