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di Tiziana Maiolo

Il Dubbio, 8 marzo 2024

La retorica del cronista libero e indipendente? La vedo naufragare negli articoli di chi si fa strumento dei centri di potere. Che senso ha gridare al “bavaglio”? Due colpi d’accetta sarebbero necessari oggi, per dare una svolta a questo meccanismo che intreccia spiate e scoop, gogne e bersagli da colpire. Primo: decidiamoci ad abolire l’Ordine dei giornalisti. Secondo: chiudiamo i battenti della Direzione nazionale Antimafia. Facciamolo nel nome di Einaudi e di Falcone. Con questi due provvedimenti si potrebbe cominciare a prosciugare l’acqua in cui nuotano i pescecani. Pescecani di Stato e pescecani da tastiera. Tutti i soggetti complici del passato e oggi indagati dalla procura di Perugia diretta da Raffaele Cantone. Il quale ieri, come già il giorno precedente il capo della Dna Giovanni Melillo, ha usato parole di grande severità nei confronti di uomini e sistemi. Imputati e imputandi, come disse un giorno il preveggente Giulio Andreotti.

L’Ordine dei giornalisti è il grande assente di questi giorni. E meno male, visto che, ormai sovrapponibile al sindacato, sa emergere solo quando deve strillare contro le “leggi bavaglio”, cioè quelle norme che, come nell’ultimo caso in ordine di tempo, dovrebbero tutelare i diritti dei cittadini su principi fondamentali come la presunzione di non colpevolezza. Cioè principi costituzionali. Ma sulle costanti attività di dossieraggio, violazione del segreto investigativo, pubblicazione di dati sensibili che puntano il mirino su bersagli individuati con cura da giornalisti politici, ben prima che ce lo segnalasse Raffaele Cantone, l’Ordine è sempre stato afono.

Seguiamo dunque il suggerimento del presidente Luigi Einaudi (“giudice della dignità o indegnità del giornalista non può essere il giornalista”) e poi di Ugo La Malfa e dei radicali di Marco Pannella, che fecero prima la disobbedienza civile e poi il referendum per l’abolizione dell’Ordine. Che fu sottoscritto anche da Silvio Berlusconi e votato, in dissenso con la sinistra, da Massimo D’Alema. Con dodici milioni di cittadini, ma senza ottenere il quorum (a proposito: a quando una legge per abolire il quorum?). Se volessimo aggiungere le iniziative di Pinuccio Tatarella e poi le dichiarazioni di Matteo Renzi e di Beppe Grillo, magicamente troveremmo una maggioranza parlamentare. E allora facciamolo.

Così forse si potrebbe cominciare ad accantonare espressioni come “giornalisti con la schiena dritta”, “noi diamo solo notizie”, “se ho una notizia la devo dare”. E poi la regina di tutti gli imbrogli, la cosiddetta “libertà di stampa”. Perché che cosa c’è di libero e doveroso per informare i cittadini, nel mercato delle Sos, le segnalazioni di operazioni sospette di Bankitalia, con cui vengono resi noti addirittura i conti correnti dei cittadini? Stiamo parlando di qualcosa che si è prolungato nel tempo e che esiste ancora, non di qualche caso isolato. Stiamo parlando di giornali, di “inchieste” che sono state alimentate per anni da soggetti, come il finanziere di fiducia di alcuni quotidiani Pasquale Striano, attraverso la violazione costante, e infinita nel numero, delle banche dati esistenti nella Direzione nazionale Antimafia. Non solo le Sos, ma gli eventuali precedenti giudiziari, le dichiarazioni dei redditi e qualunque informazione di tipo economico e finanziario di ogni cittadino-bersaglio. Queste informazioni sono migliaia e migliaia. Ma solo una parte è stata utilizzata. Dove sono finite le altre? Sono in qualche cassetto, o computer, da cui usciranno un giorno o l’altro a scopo ricattatorio o come merce di scambio? Questi giornalisti la devono piantare di tenere questi comportamenti.

Lasciamo perdere per un attimo quelli che oggi sono soggetti a indagini giudiziarie, dobbiamo loro quel rispetto che loro non avrebbero nei nostri confronti. Ma non si può sentir dire dal direttore di un giornale che sulle violazioni, sui buchi di permeabilità e sull’assemblamento di atti giudiziari campa ogni giorno come Marco Travaglio, che la soluzione è una sola, “male non fare paura non avere”. Vada avanti lui, che a noi viene da ridere. E neanche da un altro campione di “giornalismo d’inchiesta” come Lirio Abbate, che “occorre compiere un’azione di responsabilità”, perché le fonti del giornalista non sempre sono disinteressate e spesso usano i quotidiani come buca delle lettere. Azioni di responsabilità, certo. Un po’ come quella dell’Espresso di cui Abbate era direttore quando nel 2014 pubblicò il famoso articolo “Il business segreto della vendita dei virus che coinvolge aziende e trafficanti”, con bersaglio la virologa Ilaria Capua. Che naturalmente fu assolta. Ma con la vita violata e massacrata.

Ah, le fonti da tutelare e proteggere! Ogni giornalista sa che al cospetto del magistrato può sempre citare il magico articolo otto della legge sulla stampa che gli impedisce di rivelare la fonte della notizia che ha pubblicato. Già, ma qui non si sta parlando di singoli fatti e singole occasioni, ma di rapporti continuati e sistematici. E di più, pare che fossero i giornalisti a sollecitare le fonti. Essendone consapevoli, ci dice il procuratore Cantone. E attingevano in un luogo come la Direzione nazionale Antimafia che avrebbe dovuto tutelare il massimo di riservatezza e che invece si è dimostrato di grande permeabilità, come ci ha spiegato il procuratore Melillo, molto critico sull’eredità ricevuta dal predecessore Cafiero de Raho.

Ed eccoci dunque al necessario secondo colpo d’accetta, suggerito del resto da un personaggio insospettabile come Sabino Cassese. Eliminare la Dna. Quella voluta da Giovanni Falcone era un’altra cosa, era un semplice strumento di coordinamento delle diverse procure sparse in tutta Italia. Ed era stata molto criticata dal sindacato dei magistrati e dagli stessi procuratori. Ma poteva avere un senso. Oggi non lo ha più. Soprattutto dopo che, su iniziativa prima del presidente Franco Roberti e poi di Cafiero de Raho, è diventata il centro di potere assoluto sui cittadini nella gestione delle segnalazioni della Banca d’Italia. Il potere assoluto accompagnato da massima permeabilità di ogni segreto ne ha fatto un organismo fragile e pericoloso. Sciogliamolo subito, insieme all’Ordine dei giornalisti. Facciamolo in nome di Einaudi e di Falcone. Se abbiamo ancora a cuore non diciamo uno Stato liberale, ma almeno democratico.