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di Mauro Magatti

Corriere della Sera, 15 settembre 2023

Oltre l’emergenza sbarchi: occorre rispetto per le esigenze umanitarie; accogliere le richieste sempre più pressanti dalle imprese; avere la capacità sociale e politica di assorbimento dello straniero. Il contrasto ai flussi migratori è una bandiera identitaria del centro destra. Ma un conto sono i proclami elettorali, un conto i risultati di governo. Il numero di migranti e richiedenti asilo arrivati in Italia nel 2023 è in deciso aumento rispetto a 12 mesi prima: a settembre sono arrivati in Italia più di 116.000 persone (di cui circa il 10% minori non accompagnati) il doppio rispetto dello stesso periodo del 2022 e quasi 3 volte il 2021. La vera differenza sta nella più limitata percezione del problema da parte dell’opinione pubblica. A differenza di quanto accadde ad esempio nel 2015-16 - quando i numeri erano paragonabili - l’allarme sociale è stato molto inferiore. Probabilmente perché l’opposizione di centro sinistra non ha voluto (o saputo) calcare la mano su questo punto. E se non fosse stato per la protesta dei sindaci che si sono trovati a dover gestire i tanti migranti trasferiti direttamente da Lampedusa nelle città di tutta Italia, in molti non si sarebbero accorti di nulla.

L’inefficacia dell’azione di governo ha riguardato tre diversi piani. In primo luogo, l’accordo con la Tunisia - che avrebbe dovuto portare a una riduzione dei flussi - non ha funzionato: il grosso degli arrivi nel 2023 viene proprio da questo paese (passati nel giro di un anno da 12.000 a 60.000). Oltre a porre serie questioni dal lato dei diritti umani (fare accordi per fermare il flusso di migranti senza chiedere garanzie sui modi utilizzati significa, in sostanza, chiudere gli occhi su quello che poi concretamente accade e che fonti indipendenti riescono a documentare). Come già in passato, questo tipo di iniziative si limita a mettere una toppa su una falla che diventa sempre più grande. Nella situazione in cui siamo, la pressione migratoria è così forte che, se si chiude un varco, se ne apre un altro.

Si arriva così al secondo punto di debolezza, che è di natura strettamente politico. Più volte la premier ha insistito sulla necessità di una strategia europea. Ma al di là degli appelli non si è andati. Soprattutto non si è riusciti a spingere la UE ad avviare un programma strategico di cooperazione economica e istituzionale che aiuti i paesi di partenza ad affrontare le loro questioni interne. Al contrario, tutta la regione sub sahariana è andata incontro a un processo di ulteriore destabilizzazione che non lascia presagire nulla di buono per gli anni a venire. Anche su questo come su altri tavoli, servono alleanze e concretezza.

Infine, le politiche di gestione dei migranti giunti sul territorio nazionale. Per accontentare il proprio elettorato, il governo ha approvato il decreto Cutro (ironia della storia, visto che il nome fa riferimento a uno dei più gravi naufragi avvenuto nel Mediterraneo) che prevede la drastica riduzione della protezione speciale. Nell’ipotesi, non realistica, di riuscire a rispedire indietro i migranti. Il risultato, come già ricordato, è stato di creare problemi alle città dove i sindaci si trovano a dover gestire senza mezzi e risorse numeri molto elevati di immigrati. Con rischi sulla sicurezza che non è difficile immaginare. Salvo l’ipotesi (mai esplicitamente ammessa) che molti nuovi arrivati filtrino velocemente - in un modo o nell’altro - verso altri paesi, alleggerendo così il carico italiano (ma anche creando malumori nei paesi di arrivo finale che accusano l’Italia di slealtà). Oltre a ciò, l’assenza di misure di sostegno e di presa in carico fa sì che, in un paese come l’Italia che non fornisce alcun aiuto e percorso di integrazione si fermi la parte meno preparata (e sempre più spesso addirittura analfabeta). E quindi più difficile da integrare. A vantaggio solo della parte più degradata del mercato del lavoro, se non addirittura della criminalità organizzata.

Insomma se tutti e tre i fronti (interventi di limitazione dei flussi in entrata, sviluppo di una azione politica europea sul piano internazionale, politiche interne di integrazione), i risultati ottenuti nel 2023 dal governo Meloni non sono stati quelli annunciati.

Per fare qualche passo in avanti è necessario superare le ideologie confrontandosi con la realtà. Di fronte ad un problema tanto grande e di natura strutturale - conseguenza del disordine portato dalla forte crescita globale degli ultimi decenni - non serve a nulla dividersi tra chi è pro e chi è contro l’immigrazione. Aprire indiscriminatamente le frontiere è insostenibile; ma anche pensare di chiudere ermeticamente i confini non regge. Si tratta piuttosto di costruire un equilibrio sensato tra tre dimensioni, tutte rilevanti benché tra loro molto diverse: le esigenze umanitarie affermate nella nostra Costituzione: l’Italia non può accettare che i diritti fondamentali delle persone siano esplicitamente calpestati; le esigenze sempre più pressanti dal mondo delle imprese (ha fatto scalpore l’iniziativa sollecitata dalla Confindustria di Brescia, andata a verificare le competenze dei nuovi arrivati ed ad offrire percorsi formativi per avere rapidamente il personale mancante); la capacità sociale e politica di assorbimento dello straniero, da sempre tema che solleva paure e fantasmi. E con essi, resistenze e reazioni. Siamo ancora lontani dall’aver raggiunto un equilibrio accettabile. Partendo dagli insufficienti risultati finita ottenuti, il governo provi a rivedere la sua strategia per il prossimo anno.