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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 24 gennaio 2023

La denuncia del presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up. Troppo pochi gli infermieri per gestire la sanità nelle carceri. “Colleghi lasciati soli, troppo spesso dimenticati, in contesti difficili, dove lavorare è sempre una lotta quotidiana. Tra organici ridotti all’osso, gli infermieri giovani e spesso inesperti, seppur coraggiosi nell’affrontare contesti di dipendenze, con soggetti spesso aggressivi e con problemi psicologici, vanno sostenuti per quelle qualità umane e per le competenze che mettono in gioco, che sono alla base delle loro delicatissime responsabilità professionali”, così denuncia Antonio De Palma, presidente Nazionale del sindacato degli infermieri Nursing Up.

Nel duro comunicato, il sindacalista snocciola alcuni dati che indicano, per certe realtà carcerarie, ad una sproporzione enorme: professionisti che devono affrontare la super affollata realtà dei nostri detenuti e sono costretti, in strutture di massima sicurezza come il carcere di Opera (Milano), a fronteggiare le problematiche di salute, nonché psicologiche (dipendenze, autolesionismo, aggressività), di ben 600 reclusi, laddove gli infermieri sono addirittura rimasti solo in 31, rispetto ai 56 previsti, di per sé davvero già insufficienti.

“Turni a volte dove due soli infermieri, udite udite, devono occuparsi dei 600 detenuti!”, tuona De Palma. Ma non va meglio a San Vittore (17 infermieri), a Bollate, che ha appena 8 infermieri, o in realtà come il Beccaria, dove ci sono le complesse problematiche dei minorenni a fronte di due 2 soli infermieri.

Ma i numeri non si esauriscono qui - sottolinea sempre il presidente di Nursing Up - “dal momento che le direzioni carcerarie rendono noto di dimissioni a raffica, negli ultimi mesi, da parte del personale sanitario che non si sente adeguatamente tutelato, in particolare medici, alle prese con tentate aggressioni, continui tentativi di suicidi da parte dei detenuti e disagi mentali”. Non solo. Il sindacalista denuncia che, seguendo il trend negativo della carenza della sanità pubblica, naturalmente, i professionisti che si allontanano non vengono adeguatamente rimpiazzati. E non è facile, in queste situazioni, convincere altri colleghi ad accettare incarichi così delicati, dove gli operatori sanitari sono così esposti e così poco tutelati.

“Di conseguenza, gli infermieri, come detto - prosegue De Palma - spesso giovani e ai primi incarichi, restano soli e ingabbiati in tunnel bui, pieni di ostacoli, che diventano per loro insuperabili, nonostante gli sforzi profusi, senza un indispensabile supporto da parte delle istituzioni”. Per questo chiede un intervento del Ministero, per comprendere realmente cosa stia accadendo nelle nostre carceri. “Chiediamo ulteriori report dettagliati, anche nelle altre case di detenzione italiane, che possano mettere in luce le drammatiche realtà dei fatti e che rappresentino una forma di tutela, sia per gli operatori sanitari impegnati ogni giorno a contatto con i detenuti, sia per gli stessi soggetti che stanno scontando una pena, bisognosi di essere supportati da personale sanitario numericamente adeguato ai propri fabbisogni”, conclude De Palma.

Ricordiamo che dal primo aprile 2008 la salute delle persone detenute è divenuta formalmente una competenza del Servizio sanitario nazionale e si è venuta così a sanare una delle tante anomalie normative che riguardano la gestione della vita penitenziaria. Calandoci sul piano del diritto vivente, tuttavia, questa anomalia è stata adeguatamente superata esclusivamente sul piano formale. Nella materialità della detenzione permangono le criticità che ostacolano una piena affermazione dell’equivalenza delle cure, principio cardine della riforma stessa.

Il trasferimento del personale, strumentazioni e responsabilità alle Aziende sanitarie locali è stato generalmente vissuto come un ulteriore “peso” scaricato sulle spalle già fragile della sanità regionale (e dei suoi bilanci). Non a caso, come detto inizialmente, c’è il discorso della precarietà che coinvolgono anche i medici, difficilmente disposti a sacrificare la loro vita per pochi soldi rispetto ai colleghi che lavorano nel mondo libero. Ma non solo. La difficoltà principale è quella di riuscire a valutare la questione sanità penitenziaria da un punto di vista nazionale e quindi si creano forti disparità tra territori. Accade nel mondo libero, ma nel carcere tutto si amplifica.