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di Francesco Grignetti

La Stampa, 8 novembre 2023

Nei primi sei mesi del 2023 i tempi sono crollati del 29% rispetto al 2019. Il merito è del Pnrr e della riforma Cartabia. Sorpresa: la giustizia italiana s’è messa a correre. E di colpo i tempi del processo penale si sono accorciati vertiginosamente. Nei primi sei mesi del 2023, un processo penale impiega 989 giorni per arrivare alla sentenza di Cassazione. Sono meno di 3 anni per una decisione definitiva, tutto incluso. I tempi sono crollati del 29% rispetto alle medie del 2019; in pratica abbiamo raggiunto nel penale i risultati concordati con l’Europa con tre anni di anticipo. “In linea con gli obiettivi del Pnrr concordati con l’Europa”, sottolinea il ministero della Giustizia. Per il civile va meno bene, ma comunque le cose sono migliorate.

Non era scontata questa performance. Ed è merito - in egual misura - del Pnrr e della ex ministra Marta Cartabia. Con i fondi europei sono stati assunti circa 8mila neolaureati con contratti triennali, dando vita a un’innovazione che si chiama Ufficio per il processo. Li hanno affiancati ai magistrati. E il loro apporto si sta rivelando prezioso. Tanti giovani molto preparati, dinamici, che capiscono di informatica, sono preziosi. Ecco dunque che sono aumentate le decisioni del magistrato titolare, ma sono anche crollati i tempi morti nel trasferimento da un grado all’altro del processo. Dall’altra, ci sono alcune novità nella procedura penale - farina del sacco della ex ministra - che permettono più definizioni. Nel confronto tra i dati del 2019 e il 2023, i tempi si sono ridotti in tutte le fasi del giudizio: -29,7% in tribunale, -26,6% in Corte di Appello e -39,1% in Corte di Cassazione. Un successone.

“Non voglio cantare vittoria troppo presto”, si schermiva nei giorni scorsi il ministro Carlo Nordio. E comunque riconosceva che l’attuale governo non c’entra nulla. “Merito della ministra Cartabia che è stata una brava ministra”, ha riconosciuto il Guardasigilli.

Questi numeri così incoraggianti si portano dietro, però, una polemica. “Bene, molto bene. Ma allora, visto che questi dati sono il frutto delle riforme fatte nella scorsa legislatura, a cominciare da quella Cartabia sulla improcedibilità che il governo vuole affondare, ci chiediamo: perché modificarle mettendo a rischio i fondi del Pnrr, ad esempio con la nuova riforma della prescrizione? Queste riforme sono vittima del loro furore ideologico? Sembra quasi che l’analisi scientifica sia sostituita da un approccio volutamente di parte, la parte peggiore che non lavora per il bene del Paese”, dichiarano i parlamentari dem che si occupano di giustizia, capeggiati da Debora Serracchiani.

Coglie l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa anche il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale alla Statale di Milano, già consulente di Cartabia: “L’analisi dei dati mette in evidenza un risultato senza precedenti nella storia repubblicana nel settore penale”. Merito di quella squadra. “La narrazione pessimista sul Pnrr, in materia di giustizia, deve quindi essere sottoposta a un serio fact-checking”.

Il professor Gatta non è convinto della necessità di modificare per l’ennesima volta i meccanismi della prescrizione e difende la riforma Cartabia, che aveva previsto un sistema misto (sostanziale fino al primo grado, processuale nei due gradi successivi): “Con una media della durata dell’Appello inferiore ai due anni, l’improcedibilità non sarà affatto una tagliola destinata a mandare in fumo migliaia di processi. Come paventato dai (non pochi) detrattori dell’istituto, anche con toni apocalittici: sarà un evento eccezionale e limitato, non sistemico come la prescrizione del reato, che ancora nel 2022, per i fatti commessi prima del 1° gennaio 2020, ha interessato oltre 30.000 procedimenti penali in Appello”.